17 Dicembre 2018, 14:19
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PALERMO – Sono state 33 coltellate ad uccidere Pietro Ferrera, nell’appartamento di via Falsomiele a Palermo. La prima è stata inferta dalla moglie Salvatrice Spataro, poi sono intervenuti i due figli Mario e Vittorio, anche loro armati di grossi coltelli da cucina. Ed è esplosa la rabbia.
Al termine di un drammatico interrogatorio, il giudice per le indagini preliminari Walter Turturici non ha convalidato il fermo, ma ha applicato la custodia cautelare in carcere ai tre indagati. Secondo il Gip, non c’era pericolo di fuga, uno dei presupposti per il fermo, ma madre e figli meritano il carcere, così come chiesto dal pubblico ministero Gianluca De Leo.
Il legale della difesa, l’avvocato Maria Antonietta Falco, aveva chiesto che venissero mandati ai domiciliari perché, così aveva detto, “significherebbe accanirsi contro persone che da vent’anni subiscono una situazione terribile. Si tratta di persone per bene, incensurate, che hanno subito confermato quanto fosse accaduto che da troppo tempo vivevano una condizione di prostrazione fisica e psichica”.
Secondo la confessione degli stessi autori del delitto, la donna era stata chiamata dal marito in camera da letto. Voleva avere un rapporto sessuale, lo pretendeva come accadeva sempre, nonostante il rifiuto della donna. Che una volta entrata in stanza, mentre il marito era disteso ma girato, lo ha colpito al collo.
I figli, ed ecco la loro testimonianza, hanno sentito le urla e sono corsi nella stanza entrambi armati. Sostengono che era loro intenzione soltanto difendere la madre. Pietro Ferrera ha reagito con veemenza, ha ferite alle braccia e alle mani, oltre a quelle nel collo e al torace. Nessuna premeditazione, dunque. Né, a dispetto del numero di colpi, l’intento di infierire sulla vittima quando era già priva di sensi.
Madre e figli in lacrime hanno ricostruito il clima di terrore in cui erano costretti a vivere. Da anni, hanno raccontato, subivano violenze fisiche e psicologiche da parte del padre, che non aveva esitato a colpire con una ginocchiata un altro dei figli minorenni, seppur malato. Un episodio descrive i soprusi che erano costretti a subire: i ragazzi sostengono che il padre gli impediva persino di utilizzare l’acqua calda.
Perché sono arrivati a tanto? Perché non hanno denunciato prima le violenze subite? Nel corso dell’interrogatorio i tre indagati hanno spiegato che vivevano in un clima di paura, il padre li aveva minacciati che qualora avessero raccontato qualcosa alla polizia sarebbe scattata la ritorsione nei confronti degli altri parenti e in particolare dei nonni. E così due giorni fa la collera è esplosa nell’appartamento di via Falsomiele, dove sono intervenuti i poliziotti della squadra mobile. Si sono ritrovati di fronte a una scena raccapricciante.
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17 Dicembre 2018, 14:19