16 Agosto 2021, 15:40
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Puoi anche essere lontano da Nassirya, ma Nassirya non sarà mai distante da te. E tu sarai sempre il figlio di un uomo che è morto per compiere il proprio dovere.
Scrive su Facebook Marco Intravaia, figlio di Domenico, la cui ombra riposa ancora sul campo di battaglia: “Leggere le notizie che arrivano dall’Afghanistan dà la sensazione che le lancette dell’orologio siano state riportate indietro di 20 anni, che oltre 53 vite di nostri connazionali siano state sprecate, insieme ad un’ingente quantità di denaro. Da figlio di un uomo che ha perso la vita in uno scenario di guerra, l’unica consolazione che mi ha accompagnato in questi anni è stata la consapevolezza che la vita di mio padre non sia stata sprecata, ma abbia contribuito, nel servire la Patria, a migliorare la vita di popoli più sfortunati e a veicolare messaggi di democrazia e civiltà”.
E ancora: “I figli, le mogli e i padri degli uomini morti in Afghanistan staranno vivendo la terribile sensazione che i loro cari siano stati strappati alla vita per niente, adesso che i Talebani riprendono il controllo dell’Afghanistan con tutto il carico di estremismo, di oscurantismo e di violenza di cui sono capaci. Esprimo tutta la mia solidarietà a queste famiglie e condivido il loro dolore. Continuo a credere nell’impegno internazionale del nostro Paese e mi appello al presidente Draghi affinché faccia valere la sua credibilità in seno alla comunità internazionale e questa compia ogni sforzo per difendere le difficili conquiste di civiltà ed emancipazione fatte in quel territorio, anche grazie all’alto tributo di sangue pagato dai militari italiani. Non possiamo consentire al terrorismo di vincere”.
E’ una riflessione che squarcia l’omertà dell’indifferenza. La storia è fatta di persone, di lacrime e mutilazioni. Solo se non ci sei dentro, puoi leggerla sui libri o guardarla in tv. E guardare in tv povere anime che si accalcano intorno a un aereo che non le salverà.
Marco Intravaia è figlio di suo padre. La sua vita l’ha costruita con vigore, nonostante tutto. Lui stesso raccontava a LiveSicilia.it qualche anno fa: “Andavo al liceo, avevo quindici anni e mezzo. Ero in classe. Alla mia compagna di banco arrivò un sms con il flash di un notiziario che riportava la notizia di un attacco a un contingente italiano. Ebbi come un presentimento e telefonai a casa. Mi rispose un parente che non aveva motivo di essere lì. Capii tutto. Quella mattina sono venuti a prendermi a scuola. A casa ho trovato i carabinieri, i colleghi, i compagni e gli amici di papà. Chiunque può immaginare quelle ore. Ti senti protagonista di un incubo, di un film, vivi tutto come se fosse una allucinazione. Siamo andati da un posto all’altro: la camera ardente, i funerali, sempre con quel senso di incredulità…”.
Perché è normale pensare che siano sempre gli altri l’epicentro del dolore. Non lo pensiamo per cattiveria, è una difesa da quanto c’è di spaventoso nel mondo. Poi, una mattina, ti svegli. E scopri che la storia sei tu.
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16 Agosto 2021, 15:40