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La fotografia di Bankitalia | E i diritti negati alla Sicilia

La crisi e un bilancio regionale asfittico. Come risollevarsi? Pretendendo ciò che spetta all'Isola.

DIRITTI E DOVERI
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Il recente rapporto di Bankitalia evidenzia la condizione di estrema difficoltà dell’economia e del sistema produttivo siciliano. Considerato che nelle fasi di prolungata stagnazione economica e di contrazione del credito le risorse pubbliche si rivelano un importante strumento di sostegno all’economia, tradizionalmente, nei momenti di congiuntura sfavorevole, gli Stati e le autorità subnazionali fanno ampio ricorso alla cosiddetta leva finanziaria per innescare processi di crescita della produzione e dei redditi.

In Sicilia, però, il bilancio regionale risulta pressoché interamente assorbito dai costi della macchina burocratica e dalla spesa sociale (soprattutto sanitaria), e negli ultimi anni l’aumento del contributo prelevato dallo Stato per il risanamento della finanza pubblica, la riduzione dei trasferimenti statali e i severi parametri di equilibrio finanziario hanno notevolmente accentuato le difficoltà finanziarie della Regione.

I conti pubblici territoriali, i rapporti della Banca d’Italia, le analisi dello Svimez evidenziano che negli ultimi anni la spesa statale per investimenti in Sicilia ha subito un drastico ridimensionamento e si attesta su livelli di gran lunga inferiori al resto del Paese, il rapporto tra livello dei servizi pubblici e ammontare della pressione fiscale si è notevolmente ridotto, il sistema perequativo che avrebbe dovuto ridurre sino ad annullare il gap sociale, economico ed infrastrutturale della Regione si è dimostrato inefficiente, e la gran parte degli indici sulla dotazione infrastrutturale della Sicilia sono nettamente peggiorati rispetto allo scorso decennio.

Il sistema finanziario siciliano, che sino a qualche anno fa veniva ritenuto una vera e propria forma di privilegio che garantiva risorse ampiamente eccedenti a quelle necessarie, si dimostra ormai inadeguato a sostenere il progressivo incremento dei costi di esercizio delle funzioni regionali, ed offre addirittura meno garanzie rispetto all’ordinamento delle regioni a statuto ordinario.

Basti pensare che una parte consistente delle risorse prodotte in Sicilia viene riscossa fuori dal territorio regionale, e arricchisce quindi i bilanci dello Stato e delle altre regioni. Nel resto del territorio nazionale, invece, vige il principio in forza del quale ad ogni regione deve essere attribuito il gettito riferibile al proprio territorio.

Inoltre lo Statuto siciliano e le norme di attuazione non garantiscono la corrispondenza fra le entrate attribuite alla Regione e le spese di esercizio delle funzioni regionali, mentre alle regioni ordinarie devono essere attribuite risorse che consentano loro “di finanziare integralmente le funzioni pubbliche”.

Diversi ordinamenti regionali, inoltre, prevedono disposizioni che impediscono allo Stato di ridurre le entrate fiscali regionali senza adeguate compensazioni, e di modificare arbitrariamente l’importo delle risorse regionali da destinare al risanamento della finanza nazionale.

Il sistema siciliano non prevede analoghe garanzie, essenziali per garantire un’adeguata quantità e qualità di servizi e prestazioni pubbliche, e quindi si rivela indispensabile procedere alle modifiche necessarie attraverso il negoziato con lo Stato.

Il tema è complesso e in questo tipo di trattative non ci sono garanzie di successo, poiché oltre alle ragioni prettamente giuridiche, giocano un ruolo rilevante fattori di altra natura, principalmente politica e finanziaria.

Tuttavia non v’è dubbio che la sufficienza delle risorse rispetto alle spese necessarie, il livellamento del divario con il resto del Paese, l’autonomia fiscale ed il principio di territorialità del prelievo tributario costituiscano oggetto di specifiche previsioni costituzionali, e quindi di precisi diritti della Regione.

Di conseguenza la Sicilia ha pieno titolo a pretendere l’inserimento nell’ordinamento finanziario regionale del principio di sufficienza delle risorse e degli investimenti infrastrutturali, e di quello di correlazione tra prelievo fiscale e beneficio in base al quale i tributi devono essere correlati alle prestazioni e ai servizi forniti ai contribuenti che li hanno pagati.

Oltre a ciò pare ragionevole che una Regione afflitta da un conclamato ed incontestabile gap sociale, economico ed infrastrutturale rispetto al resto del Paese possa fruire di garanzie che, in base al cosiddetto federalismo differenziato, si intende concedere ad alcune delle regioni più ricche del Paese.

Al riguardo, ad esempio, la Sicilia potrebbe ragionevolmente rivendicare l’attribuzione di un ammontare di risorse non inferiore al valore medio della spesa statale nel resto del territorio nazionale, e l’inserimento nelle norme di attuazione di diposizioni che garantiscano che, qualora il gettito fiscale maturato nel territorio regionale ecceda il costo delle funzioni regionali, l’eventuale surplus venga destinato a servizi e prestazioni pubbliche a favore dei contribuenti siciliani, e che, in relazione al fabbisogno regionale di investimenti, venga garantito alla Sicilia un ammontare adeguato di risorse da attingersi dai fondi finalizzati allo sviluppo infrastrutturale del Paese.


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