07 Ottobre 2020, 17:30
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CATANIA – Tra i dvd del Capo dei Capi e della serie Prison Break ci sono le pagine giudiziarie dell’inchiesta Zeta, che nel marzo del 2019 portò in carcere tutta la famiglia Zuccaro. Peccato però, che il resort di ville, piscine e appartamenti di via Filippo Corridoni a Gravina di Catania è stato sequestrato ormai da oltre un decennio. Ma a quanto pare, almeno fino allo scorso anno, qualcuno frequentava ancora questi luoghi ormai in totale stato di abbandono. GUARDA LE FOTO
Vetri rotti, bottiglie sul pavimento, cibo sparso tra divani e poltrone, escrementi di animali. Questo è quel che resta del tesoro milionario confiscato al boss ergastolano Maurizio Zuccaro.
Questo patrimonio nelle mani dell’Agenzia nazionale dei Beni Confiscati è stato inserito nel bando che prevede l’assegnazione diretta alle associazioni di 1400 lotti sparsi in tutto il territorio nazionale. I termini, dopo una lettera del presidente della Commissione Antimafia Claudio Fava, sono stati prorogati.
Ma la gestione dei beni confiscati fa acqua da tutte le parti. E tranne qualche esempio virtuoso, la situazione nella stragrande maggioranza dei casi è simile a quella di via Filippo Corridoni a Gravina. Fotografia, senza filtri, di falle, inefficienze e limiti di un sistema su cui pochi (anzi pochissimi) vogliono vederci chiaro.
Telecamere e giornalisti oggi hanno potuto varcare i cancelli dell’ex tesoro del boss Maurizio Zuccaro grazie ai Siciliani Giovani e ad Arci Sicilia che ormai da alcuni mesi lavorano per una mappatura aggiornata dei beni confiscati nell’isola. Questa mattina alle 9.45 è iniziato il tour in quella che è stata la residenza del ras della mafia di San Cocimo a Catania (la zona attorno a piazza Machiavelli).
Della piscina da mille e una notte restano le mattonelle azzurre, le erbacce nel fondo e delle transenne dove è appeso lo striscione con la scritta “ogni bene confiscato è bene comune”. Un bancone bar di marmo e una veranda con grandi vetrate dove poter trascorrere pomeriggi all’ombra. I fasti di un tempo sono sostituiti da mattonelle distrutte e muri ricoperti da vernice spray.
Il ‘tour’ continua: sul percorso incontriamo il marchio Z ben in evidenza su una porta in metallo. In uno degli appartamenti i mobili sono rimasti al loro posto, come i vestiti, alcuni trofei e videocassette di calcio. In qualche angolo ci sono tracce di bimbi: un pallone sgonfio, una bici rosa di Hello Kitty, lo scheletro di una casa delle bambole.
Nell’altra residenza – che molti ‘ciceroni’ dicono essere quella del cantante neomelodico Andrea Z (Filippo Zuccaro, il figlio minore del boss) – c’è ancora il barbecue lasciato a margini della seconda piscina. Mentre nella piccola depandance non si contano i cocci di bottiglie e i resti di cibo, quasi sicuramente di qualche senzatetto.
Ed è qui che sono gli atti che hanno portato i primi guai giudiziari all’artista (che poi è tornato in libertà). Ma nell’operazione sono coinvolti anche il fratello Rosario, che porta il nome del nonno Saro, e lo stesso Maurizio Zuccaro, intercettato mentre parla con i figli dal carcere. Alcuni di quei dialoghi per gli investigatori sarebbero chiare ‘direttive’ di un boss. Ma su questo c’è un processo che consegnerà una verità. Almeno giudiziaria.
Fuori dal secondo cancello, sul muretto è poggiata una scatola chiusa. Un ‘coraggioso’ uomo in mascherina la apre. All’interno c’è la targa del concerto del primo maggio 2019 al teatro metropolitan di Catania di Andrea Z e poi un cd di qualche tempo fa, quando ancora il suo nome d’arte era Filippo Z. Quasi un segnale ‘di riconoscimento’ davanti alla dimora confiscata.
“Questa battaglia non la stiamo facendo da soli”. esordisce così Matteo Iannitti de I Siciliani Giovani al termine del “viaggio”. Dall’esperienza con il Giardino di Scidà l’associazione ha deciso di impegnarsi in un percorso che ha come obiettivo quello di valorizzare l’enorme patrimonio dei beni confiscati. Un percorso che si è trasformato in una corsa a ostacoli.
“I nemici di questa battaglia non sono i clan”, spiega Iannitti. Quello che hanno dovuto affrontare sono le storture di un’intero sistema emerse soprattutto dopo la pubblicazione del bando da parte dell’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati.
“Questo bando rischia di rimanere uno spot – argomenta Iannitti – se non si risolvono molti problemi. Noi qui torneremo giorno 13 con l’amministratore giudiziario per avere un quadro più completo dello stato degli immobili, tra qualche ora andremo a Pedara; ma già c’è stato detto che potremo visitare solo uno dei tre appartamenti confiscati perché gli altri sono occupati. Oggi siamo qui perché è nostro dovere chiedere alle Istituzioni di prendersi cura dei beni confiscati”.
Dario Pruiti di Arci Sicilia ricorda i principi della legge Rognoni-La Torre. “È stato sabotato un principio – afferma – che è quello di restituire i beni confiscati alla società”. C’è da recuperare l’intero mondo dell’Antimafia. “Non dimentichiamo – ricorda – che fino a qualche anno fa all’Agenzia dei Beni Confiscati c’era Antonello Montante che parlava di affidare il patrimonio a chi sapeva fare impresa e quindi a Confindustria”. Serve ripartire, dunque.
“Io invito ufficialmente il direttore dell’Agenzia”, dice Claudio Fava, presidente dell’Antimafia Siciliana. Un “invito” che serve ad accorciare le distanze dalle scrivanie ai luoghi che l’Agenzia è chiamata a gestire. “Le associazioni non possono diventare i supplenti di quello che dovrebbe fare lo Stato”, afferma ancora Fava. “Servono anche proposte economiche da portare al tavolo dell’Agenzia”, gli fa eco il deputato regionale Gaetano Galvagno.
Il sindaco Giammusso chiude gli interventi: “Noi appena abbiamo saputo l’anno scorso della confisca definitiva ci siamo mossi per fare la nostra parte e infatti abbiamo emanato una delibera dove abbiamo manifestato la nostra intenzione di acquisire il compound nel patrimonio comunale. È però vero che l’ente da solo non può farcela a mantenere un patrimonio che è grande quanto un intero quartiere. Oggi – conclude il primo cittadino – possiamo aver aperto la strada per interrompere un circolo vizioso e poter aprire una nuova pagina nella gestione dei beni confiscati”.
Un piccolo benvenuto, questa mattina, gli attivisti delle associazioni lo hanno trovato. “Abbiamo trovato il citofono danneggiato. Una settimana fa non era così – afferma Iannitti – ma noi non ci fermiamo. Ricordiamoci che ogni mattonella rotta qui è frutto di spaccio, estorsioni e omicidi”. Trasformare questi beni in luoghi per la collettività è lo schiaffo più forte che si può dare alla mafia.
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07 Ottobre 2020, 17:30
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