31 Maggio 2019, 06:00
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I prossimi, è bene che facciano i debiti scongiuri. Perché essere indicato come candidato sindaco dal Movimento cinque stelle, in questi anni, ha spesso portato guai. Interni ed esterni. Ma soprattutto interni. La vicenda che riguarda Ugo Forello, oggetto di un procedimento disciplinare per avere, a quanto pare, espresso un parere personale critico nei confronti del governo gialloverde, si sovrappone al “caso” catanese della telefonata tra il consigliere grillino Giovanni Grasso e il vicepresidente del Consiglio comunale Roberto Bonaccorsi in cui si criticava una consigliera del Movimento. In entrambi i casi, si tratta degli ultimi candidati Cinquestelle alla poltrona di sindaco delle due città più grandi di Sicilia. E in entrambi i casi, i “colleghi” grillini li hanno “processati”. Il passo che precede la cacciata.
Da candidati a “processati” (dal Movimento)
Da Palermo a Catania, insomma, ecco i nuovi veleni a Cinquestelle. Faide, registrazioni incrociate tra “amici”, chat diffuse a tutti, telefonate private sparate sui cellulari. Quella che resta è l’immagine del gioco antico del “fotticompagno”. Lo stesso che aveva accompagnato, recentemente, anche l’avvicinamento alla scelta sul web dei candidati alle Europee, con tanto di polemiche esclusioni sulla base di qualche segnalazione interna.
Insomma, in queste storiacce di conflitti intestini e di esterni sputtanamenti, quello che si fa fatica a capire è dove finisca la capacità del Movimento di “mostrare i propri anticorpi” e dove inizi invece l’utilizzo della delazione o della segnalazione come – avrebbe detto qualcuno – strumento di potere tutto interno al movimento.
E del resto, la storia degli ultimi due candidati sindaco grillini non è così isolata. Prima di Ugo Forello, infatti, fu Riccardo Nuti. È lui tra gli imputati nella storia delle cosiddette “firme false”. Una inchiesta dalla quale è emersa, al di là della colpevolezza ancora da dimostrare, l’esistenza di fazioni in guerra, di accuse al veleno, di vere e proprie faide. Nuti, alla fine, ha lasciato il Movimento cinque stelle, insieme ad altri compagni di “cordata”. Altri, sono stati ripescati come consulenti dei grillini all’Ars.
I sindaci abbandonati
Dura la vita di sindaci e candidati sindaci grillini. E non certo da adesso. Durò pochi mesi la luna di miele tra Domenico Messinese, eletto sindaco di Gela cinque anni fa, e il Movimento che lo cacciò per non avere rispettato le regole interne. All’ormai ex primo cittadino di Bagheria, Patrizio Cinque, invece non sono bastati i problemi esterni di una inchiesta per “stalking e lesioni”. Sotto elezioni, mentre il giovane sindaco si impegnava a sostegno della candidata Cinquestelle (un suo assessore, del resto), Di Maio preferiva pubblicamente scaricarlo: “A Bagheria? Non governiamo da tempo”. Una balla, ovviamente. Che poggiava su una balla ancora più grossa. Quella delle “autosospensioni” farlocche. Una baggianata che non significa nulla, nella vita reale. Un modo per scaricare dal movimento l’ombra di una indagine, mentre nella pratica la persona “scaricata” è sempre del Movimento.
Di Maio e le prime crepe
Ma la posizione di Di Maio nei confronti di Cinque non piacque a molti militanti. A conferma che, sotto la cenere del “manuale Casaleggio”, esistono teste e passioni. Le lamentele più o meno esplicite di molti, che sarebbero apparse roba da nulla in altri partiti nei quali si litiga dalla mattina alla sera, erano, in quel Movimento in cui le critiche pubbliche erano rare e pericolose, il segnale di qualcosa di più profondo. Questo giornale lo commentò, chiedendosi se un capo politico che si comporta così, fosse da considerare ancora un capo a tutti gli effetti. È il punto a cui si è giunti ieri, con la prevedibile conferma di Di Maio, ma con la clamorosa messa in discussione della sua leadership.
Dubbi che si estendono un po’ ovunque, nel movimento. Non solo tra i seguaci di Roberto Fico o tra gli amici di Alessandro Di Battista. Anche tra i lealisti, la sberla europea sembra invitare a una rivisitazione del movimento, della sua organizzazione. Lo stesso Giancarlo Cancelleri, pur schierandosi apertamente al fianco di Luigi Di Maio ha parlato di “errori” e della necessità di una “ricostruzione” del Movimento cinque stelle. Che eppure in Sicilia resta il primo partito, nonostante un netto calo rispetto alle percentuali delle ultime elezioni politiche.
Le tante ragioni di una sconfitta
Del resto, quella del 26 maggio è una sconfitta, come si è detto ovunque, frutto di tante cose: l’appiattimento sulla Lega certamente, la schizofrenia comunicativa senza dubbio. Ma anche altro, probabilmente. C’è qualcosa di più profondo. C’è ad esempio l’immagine di un movimento che ha dato l’impressione di giocare con le parole, quando ha “abolito” la povertà, quando ha chiamato “contratto” ciò che è sempre stato un inciucio, quando ha chiamato “pace” un condono. Un governo che fa il “manettaro” con i nemici, salva Salvini e diventa ipergarantista con i suoi. C’è la fotografia di una forza politica in cui regna la tendenza a fregare – come si è visto – il vicino di banco.
E non solo. C’è anche una domanda, sommersa da litri di retorica. “Quando uno dei nostri sbaglia, viene cacciato. O viene giudicato dal Movimento” rivendicano molti grillini. Bene. Ma visto che iniziano a diventare tanti, forse è il caso di porsi un altro quesito. Non ci sarà mica qualcosa che non funziona, nella selezione della classe dirigente a Cinque stelle? Solo se ripartirà da lì, il Movimento che ha tante cose buone al suo interno, si libererà della “maledizione” dei sindaci. Si libererà del “mal di capo”.
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31 Maggio 2019, 06:00