Cronaca

La Pasqua diversa al tempo del Covid tra sacro e profano

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04 Aprile 2021, 06:10

7 min di lettura

Lo scorso 17 febbraio, Mercoledì delle Ceneri, è iniziata la Quaresima, il tempo che prepara alla Pasqua, culmine dell’Anno Liturgico. La pandemia ne ha adeguato il rito alle misure anti-Covid e ha modificato l’agenda di Papa Francesco, annullando la Messa nella Basilica di Santa Sabina a Roma con la tradizionale processione penitenziale. I celebranti, nell’imporre le ceneri, hanno pronunciato le formule previste nel Messale Romano (una delle quali, “polvere tu sei e in polvere ritornerai”, Gen 3,19, evocando la fragilità e la morte, è in straordinaria sintonia col momento storico) una volta sola e per tutti dall’altare, quindi, igienizzate le mani e indossata la mascherina, hanno lasciato cadere le ceneri sul capo dei fedeli.

Anche la Quaresima 2021 è stata segnata dalle misure anti-Covid che scandiscono la vita ecclesiale in Italia. Nel contesto di grande incertezza sul domani, ricordandoci della parola rivolta da Dio al suo Servo “Non temere, perché ti ho riscattato” (Is 43,1), il Papa ha raccomandato la vicinanza agli ultimi, perché “vivere una Quaresima di carità vuol dire prendersi cura di chi si trova in condizioni di sofferenza, abbandono o angoscia a causa della pandemia”.

Pasqua, dall’aramaico pasah, significa “passaggio”: gli Ebrei celebravano il passaggio attraverso il mar Rosso dalla schiavitù d’Egitto alla liberazione mentre, per i cristiani, è il passaggio dalla morte alla vita di Gesù Cristo, la festa più solenne della cristianità.

Il dramma della pandemia, come ha sottolineato la nota della Congregazione per il Culto Divino, firmata dal prefetto, il cardinale Robert Sarah, e dal segretario, l’arcivescovo Arthur Roche, inviata ai vescovi di tutto il mondo, “ha portato molti cambiamenti al consueto modo di celebrare la liturgia”. Rimasto valido il Decreto del 25 marzo 2020, emesso su mandato papale, dall’esplicito titolo “In tempo di Covid-19” che statuiva che nei paesi colpiti dalla malattia, dove erano previste restrizioni circa gli assembramenti delle persone, i vescovi e i presbiteri dovessero celebrare i riti della Settimana Santa senza concorso di popolo, si sono confermate le indicazioni date lo scorso anno, ricordando che “in molti Paesi sono ancora in vigore rigide condizioni di chiusura che rendono impossibile la presenza dei fedeli in chiesa”.

La Chiesa, adeguandosi ai tempi e alla crisi sanitaria, ricorre sempre più all’uso dei social media, che “ha molto aiutato i pastori a offrire sostegno e vicinanza alle loro comunità durante la pandemia”, tanto che per le celebrazioni della Settimana Santa si è suggerito “di facilitare e privilegiare la diffusione mediatica delle celebrazioni, incoraggiando i fedeli impossibilitati a frequentare la propria chiesa a seguire le celebrazioni diocesane come segno di unità”.

In un’epoca di sfrenato materialismo, lasciamo ad insigni costituzionalisti e a luminari della medicina lo spinoso dibattito sulla libertà di coscienza (e sulla libertà religiosa, che ne è un corollario) tutelata dalla Costituzione, secondo la quale i comportamenti individuali non possono essere oggetto di nessuna forma di imposizione vincolante e la dimensione della coscienza non può essere violata dall’autorità dello Stato, e sul diritto alla salute, anch’esso costituzionalmente garantito. Appare tuttavia plausibile che, nell’attuale ricorrenza, i cattolici praticanti lamentino la privazione di quello che è il diritto-dovere morale e religioso di adempiere al precetto pasquale, rigidamente osservato fino a un recente passato. A tal proposito, don Gianni Cioli, docente di Teologia Morale, su “Novena.it” ha rassicurato i fedeli ricordando che il rischio di contagio rientra nella tipologia della “grave causa” che rende “impossibile la partecipazione alla celebrazione eucaristica” (Codice di Diritto Canonico, 1248). Il canone 920, §2 del Codice di diritto canonico ribadisce che il precetto “deve essere adempiuto durante il tempo pasquale, a meno che per una giusta causa non venga compiuto in altro tempo entro l’anno”. Vi è dunque, al momento, una giusta causa che permette di rinviare, secondo il teologo, la confessione e la comunione a un futuro “non lontano, in cui appaia superato il grave pericolo di contagio”; si spera che “superata la pandemia, molti cristiani tornino a Messa e si accostino al sacramento della penitenza non con spirito precettistico, ma per un autentico bisogno di conversione e per il desiderio di crescere nella comunione con le sorelle e i fratelli”. Riguardo all’auspicio, la base cattolica esprime un dubbio riguardo all’assuefazione ai comportamenti indotti dalle misure anti-contagio: una volta stabilito che alle celebrazioni si partecipi mediante i mezzi digitali, e che ci si possa purificare dai peccati senza la mediazione di un confessore, sarà automatico, una volta finito questo stato di emergenza, tornare in chiesa? Non stanno diventando virtuali anche le liturgie e i sacramenti?

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Dal sacro al profano, qualche altra novità apportata dal COVID-19 nelle festività pasquali. Dal 3 al 5 aprile, l’Italia diventerà tutta zona rossa. Secondo i dati Codacons, le restrizioni per il periodo di Pasqua varate dal Governo costeranno oltre 4,3 miliardi di euro in termini di minori spese e minori consumi. Tra le ripercussioni del lockdown sull’economia, tra Pasqua e Pasquetta andranno perduti 560 milioni di euro di spese al ristorante, considerato che in tali giorni di festa 11 milioni di italiani mangiavano fuori casa. C’è poi il giro d’affari dei viaggi, pari a 3,5 miliardi di euro, che coinvolgeva 14 milioni di cittadini, del tutto azzerato. Forti ripercussioni anche sul comparto alimentare: la spesa per il pranzo di Pasqua, stimata in 1,2 miliardi di euro tra cibi, dolciumi e bevande messi in tavola dagli italiani, subirà una forte contrazione, pari a 250 milioni in meno rispetto al periodo pre-Covid, con effetti disastrosi per le migliaia di imprese del settore e per l’intera economia. Di contro, privi dello shopping, coi ristoranti chiusi e con la Pasqua da trascorrere a cucinare in casa, gli italiani, secondo un’analisi della Coldiretti, coglieranno una delle poche occasioni per uscire di casa, per fare scorte di prodotti alimentari per la Settimana Santa, per cui si stima un aumento della spesa del 20% rispetto al weekend precedente.

Per chiudere in dolcezza, qualche altro dato. Le vendite di colombe e uova di cioccolato sono tornate alla normalità ante Covid. Il “bagno di sangue” del 2020, quando si verificò un crollo nelle vendite, non si è fortunatamente ripetuto, ha dichiarato Mario Piccialuti, direttore generale di Unione Italiana Food, nonostante il fermo del settore Horeca, quindi di hotel, bar e ristoranti. Anche se rimane maggioritario l’acquisto di prodotti industriali, cresce la richiesta di dolci artigianali, consumati da una famiglia su dieci. Lo afferma Confartigianato, che ha verificato una rifiorita produzione di uova artigianali, quasi scomparse lo scorso anno. L’inversione di tendenza in gran parte è stata determinata dalla promozione della qualità dei prodotti, che ogni piccola azienda ha incrementato, dall’uso costruttivo dei social media attraverso i quali pubblicizzarli, e dalla disponibilità a consegnarli a domicilio: le consegne domiciliari sono cresciute di oltre il 20% e gli ordini tramite piattaforme on-line rappresentano il 25% delle vendite.

In Sicilia, caposaldo mondiale della pasticceria, è esplosa la produzione di colombe pasquali, a cui pasticceri o mastri fornai conferiscono un proprio tocco con un ingrediente che le rende uniche: pistacchio, cioccolato, agrumi, creme da spalmare, sontuose glassature, considerato che possono reperire localmente il cioccolato di Modica, le mandorle di Avola, la manna delle Madonie, il pistacchio di Bronte, miele, frutta, e confetture provenienti dalle terre siciliane; anche la farina utilizzata è in gran parte di origine locale. I prodotti di alcune aziende sono ormai famosi in tutto il mondo, e costituiscono una nuova eccellenza siciliana.

Applicare un’arte sempre più sofisticata al recupero dei dolci della tradizione potrebbe far riscoprire, e tramandare, alle nuove generazioni i dolci che hanno fatto la storia della pasticceria siciliana, riscoprendo magari proprio quelle ricette che ancora nel 1889 l’etnologo Giuseppe Pitré così descriveva: u Cannatuni, “uovo vestito di pasta cotta al forno, in forma di colomba. La gente bassa lo fa di pasta comune; la borghesia, di pasta dolce crostata di zucchero a colore. Si usa per le feste pasquali”, u Pupu cu l’ova, “pupattola di pasta comune o dolce, in mezzo alla quale sono incastonate delle uova, e messe a cuocere al forno. Si fa e mangia per le feste pasquali; a Raviola o cassatedda, “dolce formato di pasta con dentro ricotta dolce, fritto in olio, e sparso di miele o di zucchero appena messo in piatto. Si mangia specialmente per le feste pasquali”.

Preparazioni che scandivano, insieme alle stagioni, la successione delle grandi feste annuali, avvenimenti che si attendevano con speranza e progettualità e si vivevano con partecipazione, sia nel focolare che raccoglieva tutta la famiglia, che nella dimensione della loro celebrazione pubblica, quando la parola “folla”, lungi dall’evocare trasgressione e paura, era sinonimo di fasti e convivialità.

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04 Aprile 2021, 06:10

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