La piccola casa della felicità

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19 Luglio 2012, 07:03

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Non basta guardare le foto. Bisogna mettersi nelle scarpe, nel cuore e nei calzoni di un uomo. Pensare come pensava lui, sentire come sentiva lui, immaginare l’amore che ci metteva lui. Questo noi chiamiamo ricordo.
Bisogna passare attraverso i panni di Paolo Emanuele Borsellino, giudice e padre. Spogliarsi delle troppe parole. Sbarazzarsi pure degli scatti incendiati e fumosi di via D’Amelio. Per i fanatici del martirio, per coloro che hanno visto nascere Falcone e Borsellino solo dopo l’estate del ’92 conta soprattutto il lutto. Prevale la bara portata a spalle, con i capelli spettinati della folla. Vince la morte violenta che partorisce gli eroi della Patria e dà modo ai coccodrilli di attaccarsi con le ganasce serrate al feretro per il solito bel discorso che precede l’immancabile ascesa sugli scalini dell’antimafia onnivora.

Noi, con le immagini della felicità di una piccola casa, vogliamo celebrare la vita. E’ importante, purtroppo, la mattanza del diciannove luglio. Sarebbe meglio se fosse l’epicentro del riscatto di una Nazione, affinché – come dicono spesso i politici senza crederci – il sangue versato non sia stato vano. Già così è un crocevia, un confine che giustamente divide. Ogni ventitrè maggio, ogni diciannove luglio, la storia presenta il conto. Non è possibile fingere, nemmeno con la maschera della compunzione o del cordoglio. Tornano a galla le parole che nessuno ha cancellato, le azioni che non si possono dimenticare. Un intero Paese, per un giorno, capisce la differenza: chi sta di qua e chi di là. E poi la dimentica.

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Ma forse assume l’identità di una scaglia nitidissima di luce il ritratto per immagini di un uomo. Ce lo riconsegna a tutto tondo. Lo amiamo di più. Proviamo pena e strazio nell’avvertire nel suo sorriso il nostro, nei suoi abbracci e nei suoi occhi l’impronta di una umanità comune. Paolo Borsellino rideva, osservava, piangeva. A suo modo, che è il modo di tutti. Infine, smise di accarezzare i suoi figli, con l’orrore a un passo, per abituarli all’assenza, nella sua estrema premura di padre. E oggi noi, che un po’ ci sentiamo suoi figli, accarezziamo il suo viso, sfiorandolo. E lo vorremmo qui.

 

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19 Luglio 2012, 07:03

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