La mafia, l'antimafia e quel tradimento ricevuto dalla città di Palermo

La mafia, l’antimafia e quel tradimento ricevuto dalla città di Palermo

Rabbia per le responsabilità delle generazioni precedenti
L'OPINIONE
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Non sono più disposto a fingere dinanzi a me stesso, ormai ho un’età che mi impone di guardare in faccia l’intero percorso della mia esistenza, in particolare gli anni lontani del mio impegno politico, impegno volto a dare un piccolo contributo personale per una Sicilia libera dalla mafia e dal sottosviluppo.

Anni, in gran parte coincidenti con le terribili stragi di Capaci e via D’Amelio. Anni, alcuni dei quali vissuti sotto scorta h24, una condizione che mi ha tolto dieci anni di salute e la gioia della nascita di mia figlia.

Sì, lo confesso, io provo rabbia. Una rabbia che montava mentre mi rendevo conto, crescendo, di quanto immense fossero le responsabilità delle generazioni che ci hanno preceduto per non aver fatto nulla o aver fatto molto poco contro coloro – boss mafiosi, gregari e complici corrotti dei salotti buoni delle città siciliane – che hanno mortificato, violentato e pervertito i valori fondanti di una comunità civile e depredato le bellezze naturali e artistiche dei luoghi a noi cari per favorire maledette colate di cemento, per giunta spesso di bassa qualità.

Ciò, per speculare e arricchirsi, a costo di uccidere esseri umani e massacrare città, coste e territori. Una rabbia che mi opprime ogni 23 maggio, ogni 19 luglio. Mi opprime quando ricordiamo un eroe normale, poliziotto, magistrato, politico, burocrate, giornalista, imprenditore, prete, sindacalista ammazzato da Cosa Nostra in totale solitudine.

Una rabbia acuta se penso com’era facile allora, quando all’Ucciardone entravano tranquillamente aragoste, donne e champagne ed uscivano ordini sanguinari, tenere in pugno Palermo, lasciata in balìa di ignoranti criminali sicuri di godere di un’assoluta impunità, anche nelle aule giudiziarie.

Non era nemmeno un problema avvelenare qualcuno con un po’ di stricnina nel caffè all’interno di una istituzione, il carcere, pubblica. Hanno sventrato e abbrutito Palermo senza ostacoli, senza una ribellione dei cittadini, senza nessun intervento dello Stato.

Al Comune, alla Provincia, alla Regione spadroneggiavano i mafiosi o direttamente, avvenne con Vito Ciancimino, o per interposta persona, i cosiddetti collusi, conniventi usando il comportamento omertoso della maggioranza. Non fossero vere tali affermazioni la mafia l’avremmo buttata fuori dalle istituzioni da un pezzo e non esisterebbe più.

La paura era una giustificazione? Macché, si moriva per solitudine, per la vigliaccheria e le convenienze della Palermo “bene”. Accadeva pure a Catania. Quanti servitori dello Stato uccisi nella quasi indifferenza della gente, con un Stato distratto, assente, magari complice, attraverso suoi infedeli rappresentanti, di efferati delitti.

Lo dicono importanti collaboratori di giustizia e migliaia di atti processuali indipendentemente dalle sentenze. Troppi misteri irrisolti e inspiegabili legami tra mafia, certa massoneria alla Licio Gelli ed esponenti dei pubblici poteri, specialmente dei servizi segreti.

Avevo 11 anni quando nel 1969 ci fu la strage di viale Lazio, a Palermo. Ricordo il mio turbamento di bambino, ma era vietato parlarne. Si ammazzano tra loro, si sussurrava. Non era così. A seguire, infatti, le decine e decine di uccisioni non “tra loro”, fino alle stragi.

Cito pochi nomi al di là della successione temporale. Erano soli Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Libero Grassi, soli Giuseppe Fava, Peppino Impastato, Mauro Rostagno, erano soli Boris Giuliano, Ninni Cassarà, Beppe Montana, era solo don Pino Puglisi, erano soli Carlo Alberto Dalla Chiesa, Cesare Terranova, Rocco Chinnici.

E come fu possibile non approntare immediate misure di sicurezza per tutelare Paolo Borsellino? Si sapeva che dopo Giovanni Falcone sarebbe toccato a lui. Niente! Ecco la ragione, non l’ho mai detto né scritto, per la quale nel profondo non ho mai amato Palermo, mia città natale, benché abbia cercato, insieme a tantissimi palermitani onesti, di cambiarla. Forse perché mi sono sentito tradito.

Ecco la ragione per la quale a oggi non riesco a guardare fino alla fine un film o a seguire un dibattito che abbiano al centro il tema della lotta alla mafia e la morte dei suoi martiri. Purtroppo, parlando dell’oggi, non mi pare di scorgere segnali incoraggianti.

Vedo una mafia ancora forte con il racket e il pizzo non sconfitti, vedo la solita antimafia delle carriere politiche, vedo politici ed esponenti di governo che quotidianamente attaccano la magistratura, ogni suo provvedimento, vedo progetti di riforma della Costituzione che affossando ulteriormente il Sud offriranno, se approvati, nuovi appigli alla criminalità organizzata e vedo progetti di riforma del sistema giudiziario che non mi piacciono affatto, perché potrebbero oggettivamente indebolire gravemente la lotta alle mafie e alla corruzione nella pubblica amministrazione.


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