07 Novembre 2018, 07:28
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Io li capisco. Dico sul serio. Tutti quelli che aggrottano la fronte o arricciano il naso, ogni volta che sentono parlare di “Stato di diritto”. E’ un’espressione che ormai fa a pugni con quella esigenza di giustizia certa, rapida ed efficiente che avvertiamo tutti, e che non si riesce mai ad appagare. Curiosamente, l’effetto urticante di questa espressione, svanisce quando si incappa nella maglie di un processo. E’ in quel momento che tutti, ma proprio tutti, riscoprono il fascino dello “Stato di diritto”, con i processi, le loro regole, le lungaggini, il sistema di garanzie, la presunzione di non colpevolezza e quant’altro.
Accade la stessa cosa quando si parla di prescrizione. Tutti a darle addosso quasi fosse la madre di tutti i mali. Fatto sta che la prima cosa che un cliente (anche quello più giustizialista, anzi, lui più degli altri) chiede all’avvocato, è proprio quella di sapere quando maturerà la prescrizione per lo specifico reato che gli viene contestato. Il che, sia chiaro, non vuol dire solo “quand’è che potrò cavarmela?”, ma anche “quand’è che finirà questo calvario?”. Perché, casomai la cosa sfuggisse, il processo in sé è una sorta di pena, e l’assunto secondo il quale chi finisce sotto processo è perché, in fondo, se l’è andata a cercare, è errato sia dal punto di vista antropologico che da quello statistico.
Molti, moltissimi processi si concludono con l’assoluzione degli imputati. Non è un caso, del resto, che tra i diritti fondamentali della persona, esiste proprio quello di essere processata entro un tempo ragionevole. Solo che lo Stato Italiano non riesce a raggiungere questo obiettivo. In effetti i processi durano troppo, e non c’entrano gli “azzeccagarbugli” con i loro “cavilli”. Questo è solo il frutto di una aneddotica più che stantia.
Gli avvocati non hanno alcun potere di interferire sulla durata dei processi. Questo lo sanno pure le pietre. Sfugge solo al nostro guardasigilli. La eccessiva lunghezza dei processi dipende dal fatto che esiste un deficit strutturale che riguarda gli organici di magistrati e del personale di cancelleria. Loro, magistrati ed operatori, ce la mettono tutta. Questo ve lo posso assicurare. Il fatto è che lavorano in condizioni decisamente proibitive, proprio in ragione del gran numero di processi. Naturalmente so bene che colmare i vuoti di organico è cosa che inciderebbe pesantemente sulla finanza pubblica. E’ per questo che, da circa 30 anni, si interviene con riforme che, se tanto mi dà tanto, sono state in grado solo di suscitare gran clamore mediatico, ed appagare, ma solo in apparenza, l’esigenza di giustizia della collettività.
Esattamente come quella, oggi preannunciata, di sospendere la prescrizione con la sentenza di primo grado. Non ci vuole molto a comprendere che, a quel punto, sarà estremamente difficile che vengano fissate le udienze per celebrare i processi di appello o di legittimità. Una volta scongiurato il rischio prescrizione, tutto potrà svolgersi con più calma in attesa di quegli interventi miracolosi che dovrebbero imprimere una accelerazione al sistema giustizia. Esattamente quegli stessi interventi (aumento organici, strumenti agli operatori) che non si sono mai fatti per questioni di cassa, e che è fin troppo azzardato ipotizzare attuabili, in tempi come questi, in cui non c’è trippa per gatti.
Col fatale risultato che una persona sarà sottoposta a quella pena del “fine processo mai”, e a restare in un cono d’ombra nel quale è entrata quando è stata iscritta nel registro degli indagati, e che sarà diventato più cupo con una sentenza di condanna. Tutto questo senza offrirle una possibilità di uscirne per gran parte della sua esistenza. Si tratta di una scelta politica che, in tutta evidenza, nasce e si alimenta dall’indimostrato ed indimostrabile assunto che chi è sotto processo è, solo per questo, colpevole, e meritevole di una pena che, se non può essere quella del carcere, che sia, almeno, quella di stare a “bagno maria”.
Insomma, un risultato vale l’altro. “L’uno vale uno” processuale, naturalmente in modalità Bignami o Cirannini. Niente male come visione della giustizia, in un paese considerato come la culla del diritto moderno, e che ha dato i natali a persone come Cesare Beccaria o Piero Calamandrei. A proposito: sento molti autorevoli commentatori agitare il tema che l’istituto della prescrizione non vige negli altri paesi, “quelli più civili di noi”. Chiosano così. Lo dicono con aria contrita. Ma è come lamentarsi del fatto che solo in Italia esista la cupola del Brunelleschi. Oppure la Ferrari. Dovrebbero invidiarci, gli altri paesi. Perdonate l’azzardo.
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07 Novembre 2018, 07:28