La responsabilità sociale | e intergenerazionale

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09 Giugno 2013, 07:30

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C’è una regola di vita della migliore tradizione civica americana che meriterebbe di essere fatta propria da noi, soprattutto laddove, come al sud, tale tradizione è mancata per secoli. E’ condensata in tre verbi: learn, earn, serve.

C’è un tempo per formarsi (learn), uno per mettere a frutto ciò che si è imparato (earn) e un altro per restituire alla società, sotto forma di servizio agli altri (serve), una parte di quanto si è avuto la fortuna di ricevere. Si tratta di una forma di responsabilità sociale che dovrebbe riguardare soprattutto coloro che hanno avuto la sorte di poter ricevere un’adeguata formazione scolastica e universitaria, aver viaggiato, fatto esperienze, avviato una professione e goduto, conseguentemente, di una sufficiente libertà sia intellettuale che economica.

Nelle regioni del sud, così come lucidamente analizzò Robert Putnam nel suo studio del 1993, “La tradizione civica delle regioni italiane”, è mancata l’esperienza civica comunale del medioevo, tipica del centro-nord Italia. La sostanziale diversità tra le regioni del centro-nord e quelle del sud, in termini di qualità della classe dirigente, oculatezza amministrativa, partecipazione democratica, dipende dalla diffusa presenza ovvero assenza di quel senso civico, di quel cemento sociale che Putnam definisce col termine di “comunità civica”, il capitale sociale presente e storicamente radicato nella tradizione degli istituti comunali del centro-nord, assente o quasi al sud.

Se dovessi rappresentare con un’immagine, con dei tratti sulla lavagna, questo divario culturale, direi che al sud predominano rapporti e aspettative soggettive di tipo verticale che generano sudditanze nel singolo cittadino verso ogni centro di potere (legale, ma spesso anche illegale), mentre al nord, a questi rapporti verticali, se ne affiancano altri, non meno importanti, orizzontali, tra i cittadini, finalizzati allo scambio solidaristico, all’associazionismo e alla cooperazione economica.

Riuscire a sfondare quell’orizzonte sociale miope che troppo spesso non supera l’ambito della propria famiglia o del proprio clan, dando luogo a quello che è stato definito il familismo amorale, è una sfida culturale ancora attuale al sud. Bisogna imparare a prescindere dai politici invece che limitarsi ad invocarne l’intervento, anche per condizionarne in positivo l’azione. L’assistenzialismo intermediato dalla politica ha peraltro sterilizzato ogni altro genere di solidarietà civile. Chi vive in città meridionali, Napoli come Palermo, sommerse vergognosamente dall’immondizia e afflitte da un’alta percentuale di disoccupazione giovanile, e goda di un minimo di libertà intellettuale ed economica, non può perciò accontentarsi di possedere una casa pulita e confortevole e di aver “sistemato i figli” per continuare poi ad avallare comportamenti socialmente omissivi: chi ha la capacità di capire, ha poi la responsabilità di agire.

 L’azione
Cosa potrebbe fare di utile per la propria comunità di appartenenza chi avvertisse il richiamo di questa responsabilità sociale? Il campo più strategico e urgente, a mio avviso, è quello di favorire la nascita di nuove imprese giovanili sponsorizzate da cittadini maturi che godano, come detto sopra, di un minimo di indipendenza intellettuale ed economica. Cosa potrebbero fare questi ultimi? Penso a quatto azioni:

1. regalare idee di impresa, di quelle conservate e destinate a morire nei cassetti per mancanza di tempo o di voglia di metterle in pratica;

2. offrire un certo numero di ore di consulenza gratuita in base alle proprie competenze professionali;

3. versare in un conto presso una banca specializzata nel microcredito una somma a proprio nome o a quello di un’associazione, dell’Ordine professionale, di un club service, ecc. che venga messa a garanzia di tali iniziative con un moltiplicatore creditizio (es. x4) assicurato dalla banca stessa;

4. partecipare minoritariamente al capitale di queste iniziative sposando il progetto oltre al già prezioso aiuto consulenziale iniziale.

Avremmo risolto in questo modo alcuni dei problemi pratici di avvio di imprese giovanili: inesperienza, costi della consulenza qualificata e accesso al credito. Aziende e studi professionali potrebbero semplicemente esternalizzare funzioni aziendali o professionali con vantaggi organizzativi ed economici. Si tratta infatti di unire l’esperienza di chi è avanti negli anni con l’energia di chi ne ha di meno per creare un vivaio di imprese utile all’intero tessuto economico.

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E’ tutto questo un modo sicuramente diverso di intendere sia la l’impegno politico che quello civile che sostanzierebbe una vera e propria innovazione sociale. Si propone, in particolare, un’alleanza tra le generazioni finalizzata alla creazione di imprese magari coerenti con una visione di sviluppo sostenibile e incentrata sulla qualità della vita nei settori del cibo e del turismo di qualità, delle energie rinnovabili, della ricerca, della tutela dell’ambiente, della gestione dei beni culturali, della vivibilità dei centri urbani, dei servizi, dei business incentrati sulla rete, ecc.

Cosa cercano i nuovi ricchi nati dalla globalizzazione? Qualità della vita. Se si lavorasse coerentemente per far riconoscere internazionalmente la Sicilia come un’isola al centro delle civiltà del Mediterraneo caratterizzata da una grande qualità della vita, avremmo di che far vivere bene cinque milioni e passa di siciliani. E il modello varrebbe ovviamente nel resto del meridione e d’Italia.

I soggetti
Penso, in particolare, a quei soggetti intermedi della società rappresentati dai Club service (Rotary, Lions, ecc.) caratterizzati da una presenza trasversale di esperienze lavorative o dagli stessi Ordini professionali oppure dalle associazioni imprenditoriali.

Modalità
Tali aggregazioni sociali presenti diffusamente sul territorio potrebbero cooperare con organismi che vi lavorano nella promozione della cultura d’impresa come ItaliaCamp o la Fondazione Siciliana per la Venture Philanthropy, in collaborazione magari con una testata come LiveSicilia che ha mostrato sensibilità e attenzione al tema. Si potrebbe cominciare con un barcamp, un confronto informale di idee, senza tavolo dei relatori, ma con sedie disposte a cerchio, un microfono mobile e cinque minuti di tempo in cui condensare il proprio intervento, cui partecipino imprenditori, professionisti, business angel e giovani interessati a crearsi un lavoro.

“Si può fare”
Parlo di esperienza vissuta in prima persona avendo dato vita ad iniziative di questo genere che hanno permesso a dei ragazzi di Palermo di diventare imprenditori di se stessi nel pieno rispetto di tutte le norme fiscali e previdenziali, rispetto vissuto come scelta civile ed etica in una società che del bisogno fa un comodo e diffuso alibi per violare le leggi. Se altri mille professionisti in Sicilia facessero qualcosa del genere, la ricaduta occupazionale, diretta ed indiretta, sarebbe rilevante e a costo zero per il bilancio pubblico, grazie alla scoperta del valore civile e sociale della gratuità.

L’impresa è l’unico strumento che conosciamo per creare ricchezza vera: la politica al sud con i suoi stipendifici, molto spesso, non sa far altro che redistribuire ricchezza prodotta altrove, da altri, in modo tanto diseducativo quanto parassitario. L’impresa sana è inoltre, fatto non meno importante, un contesto lavorativo educativo e responsabilizzante sul piano sia personale che civile. Chiudo qui, almeno per ora, questa rubrica nata in collaborazione con il prof. Fausto Provenzano, augurandoci assieme che sia stata di stimolo.

 

 

 

 

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09 Giugno 2013, 07:30

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