02 Aprile 2010, 10:10
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La litania è nota. Lasciamo lavorare i magistrati, cui va, of course, tutta la fiducia. Vedremo, quando conosceremo le carte decideremo. Ciò significa, papale papale, che l’attività giudiziaria guida partiti e istituzioni. Ma poi le carte non le legge nessuno. Perché va a finire che se i giudici archiviano, o non rinviano a giudizio, tutto si chiude con una pacca sulle spalle. Un ci fu nienti. Pigghiamunni u cafè. Se si va a processo e si arriva a condanna, i garantisti duri e puri della prima ora non li vedi più neanche con il binocolo. Liquefatti. Restano in campo solo il giudice, e, mischinu, l’imputato. Se la cosa è grossa, ma dev’essere proprio gigante, può scivolare la poltrona da sotto quell’affare che per somma decenza non nominiamo. Anche in tal caso, ma che ve lo dico a fare, è sempre la magistratura a decidere chi, quando, e perché, deve lasciare la carica. Vi sembra un buon metodo? Non importa la vostra risposta, prendete atto che le cose stanno così. Se l’imputato è potente e non uno scassapagghiara, leggasi piccolo malavitoso, una volta che esce con le stimmate di un’assoluzione strappata con i denti o di una prescrizione agguantata per i capelli, viene beatificato. Santo subito. Vi pare, quello descritto, un uso politico della giustizia? Domanda retorica. Se non è uso politico delle determinazioni del potere giudiziario questo, vuol dire che non siamo in grado di vedere il sole a mezzogiorno in piena estate. E quella bella parola che chiamiamo politica? Non pervenuta. Vale come il due di coppe quando la briscola è a bastoni. Il suo primato, da molti osannato, non vuol dire un bel nulla. La politica si muove soltanto, in maniera convulsa, quando ode il tintinnio delle manette o dopo le decisioni della magistratura. Sino ad allora attende e tranquillizza. E tu, caro lettore, così rassicurato, dormi tranquillo. Come la sera consigliavano i più anziani durante il servizio militare. Poi, di notte, puntuale, arrivava il gavettone di acqua gelata.
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02 Aprile 2010, 10:10