La Trattativa e il ‘signor Franco’| “Entità” costruita da Ciancimino jr

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06 Novembre 2016, 06:20

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PALERMO – Anni di indagini a tappeto senza uno straccio di risultato. Il misterioso signor Carlo-Franco esiste solo nei racconti di Massimo Ciancimino. Che lo ha descritto come il protagonista occulto della storia d’Italia, una canaglia vissuta per decenni al confine tra Cosa nostra e i Servizi segreti deviati.

Nonostante i cento verbali in cui Ciancimino jr racconta di averlo incontrato e guardato negli occhi, di avere da lui ricevuto consigli e direttive anche per entrare in contatto con Bernardo Provenzano, il signor Franco-Carlo è rimasto un personaggio fantomatico. A cominciare dal doppio nome perché il padre, don Vito Ciancimino, lo chiamava a volte Franco ed altre Carlo. In un vecchio verbale del 2009 Ciancimino jr disse che potevano addirittura essere “due soggetti… il soggetto unico o due…, che a volte mio padre gli chiedevo se lo dovevo chiamare Franco o Carlo perché inizialmente come gli ho raccontato questi erano due. “

Di fronte alla immaterialità del personaggio misterioso il giudice Marina Petruzzella si spinge a definirlo “entità” nella motivazione della sentenza con cui ha assolto Calogero Mannino e picconato la ricostruzione dei pm sulla presunta Trattativa fra la mafia e lo Stato. A cominciare dalla demolizione dell’attendibilità del figlio di don Vito, imputato e testimone chiave anche nel processo in corso davanti alla Corte d’assise.

Sono durissime le parole del giudice che parla di “assenza assoluta di riscontri, contraddittorietà e non credibilità di tutte le dichiarazioni del Ciancimino che afferiscono all’enigma rappresentato da questo personaggio”.

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Gli investigatori lo hanno cercato ovunque, anche nelle più nascoste pieghe della storia. Niente, di lui non c’è traccia perché Ciancimino jr “non solo non ha fornito alcun elemento utile ad identificarlo – scrive Petruzzella -, ma al contrario ha per anni inondato i pm di informazioni rivelatesi sistematicamente infondate, e tra l’altro, chiaramente strumentali alla spettacolarizzazione del suo percorso processuale e al fine di canalizzare l’attenzione degli inquirenti su obiettivi da lui desiderati”.

Ad ogni convocazione dei magistrati, coordinati per anni dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia a cui è subentrato Vittorio Teresi, la quasi icona dell’antimafia, come lo stesso Ingroia lo definì, Massimo Ciancimino “non ha fornito alcun dato autentico e utile a identificarlo. Le sue indicazioni, date ratealmente ai pm per rintracciare tale misteriosa entità, su schede telefoniche sequestrate dai magistrati inquirenti e non restituitegli, su connotati fisici, luoghi, soggetti frequentati da questa persona etc., hanno dato adito ogni volta a complicate ricerche investigative, rivelatesi, a detta degli stessi pm dispendiose e del tutto inutili”.

Agli atti restano i ricordi di Ciancimino jr: “Un accento sul siciliano, brizzolato, alto 1.75-1.80 cm, sempre ben vestito, con gli occhiali”. Fisicamente gli ricordava il socio di suo padre “nell’impresa dei carrelli ferroviari”. Un’altra volta lo scambiò per l’ex segretario della Camera dei deputati, oggi al Quirinale, Ugo Zampetti. Lo aveva visto inquadrato dalle telecamere durante le consultazioni per la formazione del governo di Mario Monti. Tutto rigorosamente messo a verbale in uno dei tantissimi interrogatori che hanno dato vita a lunghe e dispendiose verifiche per non ottenere risultato alcuno. 

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06 Novembre 2016, 06:20

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