L’avvocato, il motorista, l’architetto| Chi sono i clochard di Palermo

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05 Aprile 2015, 06:12

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PALERMO – Avevano provato a ritagliarsi il proprio spazio nella società. Avevano studiato, alcuni di loro erano arrivati a conseguire la laurea nei loro paesi d’origine, seppur tra mille difficoltà. Ma problemi finanziari, familiari e scenari economici sconfortanti hanno preso il sopravvento. Li hanno condotti ad un futuro poco roseo, che si è trasformato in un presente tutto in salita e che, giorno dopo giorno, ha trasformato un angolo di marciapiede nella loro casa.

Quella in cui sono nati, dove vivono i loro familiari e in cui vengono conservati i ricordi della giovinezza e della speranza, è ormai lontana. Eppure avevano creduto di potere cambiare la propria sorte con una laurea o svolgendo un lavoro onesto anche se distante centinaia di chilometri dai propri affetti. Speravano di poter fare quello che amavano nella vita e soddisfare le proprie aspirazioni, proprio come Fia, che era un biologo. E’ morto in via Francesco Crispi l’anno scorso, in una notte d’inverno che non gli ha lasciato scampo.

Ma anche come Singh Surijit, il clochard indiano di 40 anni che a febbraio è finito nel mirino di una banda di ragazzi violenti che l’ha preso a calci e pugni nel cuore della notte. E’ arrivato a Palermo da pochi anni e da circa quattro mesi ha scelto i portici di piazza Sturzo per dormire. La sua vita sulle navi della Marina mercantile è ormai solo un ricordo. Figlio di un poliziotto, aveva seguito il corso di specializzazione nel suo paese per ottenere la qualifica di motorista e dopo tanti sacrifici ce l’aveva fatta. Poi qualcosa non è andata come doveva e una volta giunto in Italia e dopo aver messo piede in diverse città alla ricerca di un’occupazione, è finito in strada.

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Come Singh, anche Mohammed ha perso tutto. Lui ha 45 anni, viene dal Kurdistan. La sua vita si svolge all’interno di una roulotte posteggiata ormai da più di un anno a Sant’Erasmo, a pochi passi dal mare. Ha lasciato la sua terra d’origine dopo essersi laureato in Architettura: i gravi problemi politico-amministrativi del paese l’hanno costretto a scegliere di andare via, ma l’Italia è stata soltanto la sua ultima tappa. Ai volontari che più volte a settimana gli offrono assistenza in quell’angolo di disperazione, ha spesso raccontato di avere girovagato a lungo. Ma una strada impervia e dolorosa l’ha fatto finire sulla strada, sulla quale quella laurea non conta più nulla. A fargli compagnia, i suoi cani, che tratta come dei figli. Li coccola, li nutre privandosi spesso del suo cibo. Ma anche nel suo caso, qualcuno senza scrupoli ha agito nella notte rubandogli quel poco che aveva: vestiti, carne in scatola, croccantini per i cani. “Oltre al dolore personale che questi uomini portano sulle spalle come un carico pesantissimo – dice Giuseppe Li Vigni dell’associazione “Gli angeli della notte” – gli episodi in cui sono stati presi di mira, negli ultimi mesi, hanno segnato molto la loro vita quotidiana e la nostra attività da volontari. Hanno paura, vivono la notte come un costante pericolo. Noi, d’altro canto, cerchiamo di fare sempre di più, ma a volte non basta. E’ necessario sensibilizzare l’opinione pubblica, smuovere le coscienze di chi ritiene tristemente concepibile che ci si possa approfittare di chi ha perso tutto. Per questo – conclude Li Vigni – abbiamo organizzato per l’11 aprile uno spettacolo solidale dopo la quale si terrà una messa per ricordare le vittime della violenza e dell’indifferenza, presso la cappella della stazione Notarbartolo”.

Gli occhi tristi e il sorriso spento di Alessandro, si presentano davanti agli occhi dei volontari nei pressi della stazione centrale. E’ indiano, ha cinquant’anni, un tempo faceva l’avvocato. Dorme nel sottopassaggio di via Lincoln, insieme ad un’altra decina di clochard. Si tratta di un’area in cui il numero di senzatetto che cercano riparo continua a lievitare e Alessandro, soprannominato così da chi da anni ormai gli offre il proprio aiuto, sembra aver ricominciato ad avere fiducia nel prossimo soltanto da poco tempo. Un susseguirsi di delusioni e dolori hanno riservato lo stesso destino a Papi Gomez, ghanese di soli ventotto anni che ha trovato rifugio all’interno del palchetto della musica del Foro Italico.

Ha lasciato l’Africa da giovanissimo, ma nonostante sia un operaio metalmeccanico specializzato, qualche anno fa si è ritrovato senza lavoro e senza un centesimo. Non aveva nessuno su cui contare e la famiglia lontano. Eppure, una volta arrivato in Italia aveva trovato lavoro a Treviso presso una fabbrica, che ha però chiuso i battenti due anni fa per colpa della crisi. Qualcuno, in quel periodo, gli aveva assicurato che avrebbe trovato un’occupazione a Palermo. Partito dal nord Italia col suo grande carico di speranza e pochi spiccioli per affrontare il viaggio, si è ritrovato a perdere anche quelli: del lavoro non c’è mai stata neanche l’ombra.

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05 Aprile 2015, 06:12

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