La Ferrari, lo yacht, i conti all'estero |I segreti del tesoro di Ciancimino - Live Sicilia

La Ferrari, lo yacht, i conti all’estero |I segreti del tesoro di Ciancimino

L'estratto conto pubblicato da "S" nel 2008: nella causale del bonifico da 230 mila euro del 22 gennaio c'è scritto "Itama 55"

Ma è davvero finita? Massimo Ciancimino, che oggi ha consegnato ai pm i dati di un conto con dodici milioni di dollari, continua a negare l’esistenza dell’immenso patrimonio di don Vito, ma è stato condannato per riciclaggio. Nel 2008 "S" ha ricostruito il suo patrimonio: Ferrari, società e anche lo yacht venduto all'asta per 130 mila euro (GUARDA LE FOTO). Vi riproponiamo quell'articolo.

Ma è davvero finita? Massimo Ciancimino continua a negare l’esistenza dell’immenso patrimonio di don Vito. Ma il figlio del sindaco del Sacco di Palermo ha ricevuto una condanna definitiva a due anni e otto mesi, coperti dall’indulto, per riciclaggio. Davanti alla sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, inoltre, è in corso un altro procedimento a suo carico: i giudici hanno disposto una perizia per venire a capo dei complessi intrecci societari dietro ai quali si celerebbe il “tesoro”.
Nel 2008 “S” ha pubblicato i documenti che ricostruiscono gli affari del figlio dell’ex sindaco, tra società estere, conti svizzeri, elicotteri e Ferrari. E anche lo yacht Itama 55, finito all’asta nei giorni scorsi e assegnato a un imprenditore campano per 130 mila euro (GUARDA LE FOTO). Un patrimonio da oltre cento milioni, ai quali si aggiungono i dodici milioni di dollari di cui ha parlato oggi con con il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e il sostituto Dario Scaletta, che da anni danno la caccia al tesoro accumulato dall’ex sindaco. Vi riproponiamo quell’articolo.

Nino Giuffrè addosso aveva un pizzino. Come tanti altri, almeno all’apparenza. L’italiano era quello sgrammaticato a cui i boss ci hanno abituato nella loro corrispondenza. C’era scritto il nome di una società che doveva mettersi a posto con il pizzo. Anche a questo siamo abituati in una terra dove, fino a qualche anno fa, nessuno sfuggiva al racket. Ed invece il pizzino sequestrato all’ex braccio destro di Bernardo Provenzano dà il la per un’inchiesta su un giro vorticoso di denaro che avrebbe portato gli inquirenti fino al tesoro di Vito Ciancimino. O meglio, ad una parte del tesoro. Sessanta milioni, tra contanti, sparsi in banche svizzere e conti correnti spagnoli, società con sedi in Romania e Lussemburgo, una Ferrari Scaglietti, barche, appartamenti a Roma e Palermo. A cui vanno aggiunti i 75 milioni trovati successivamente tra le pieghe di una società in Romania.

L’azienda che doveva mettersi a posto per eseguire i lavori di metanizzazione ad Alcamo era la G.A.S Gasdotti Azienda Siciliana, amministrata dall’avvocato tributarista Gianni Lapis. I carabinieri mettono sotto controllo i telefoni della sede, al civico 78 di via Libertà, a Palermo, lo stesso palazzo dove Lapis ha gli uffici. Dalle conversazioni viene fuori che il tributarista ha stretti rapporti con Massimo Ciancimino. E così finisce sotto controllo anche il figlio dell’ex sindaco di Palermo, condannato per mafia e morto nel 2002 mentre era ai domiciliari. Ne viene fuori un rompicapo per gli inquirenti. Oltre alla sfilza di beni sequestrati, ci sono decine di documenti bancari, scritture contabili, atti legali, vorticosi giri di danaro, intercettazioni telefoniche. E alla fine c’è pure una sentenza che condanna Massimo Ciancimino. Siamo ancora al primo grado di giudizio, ma la ricostruzione della Procura ha già retto al vaglio di un tribunale. Il 10 marzo del 2007 Ciancimino jr è stato condannato a cinque anni e otto mesi per riciclaggio, intestazione fittizia di beni e tentata estorsione; un anno e quattro mesi, pena sospesa, ha avuto Epifania Silvia Scardino, vedova dell’ex sindaco di Palermo; cinque anni e quattro mesi ciascuno sono stati inflitti all’ex legale di don Vito, Giorgio Ghiron, avvocato internazionalista con studio a Roma e New York, e a Lapis, professore associato di diritto tributario.

Spogliata dei termini giuridici l’accusa dei pubblici ministeri Roberta Buzzolani, Lia Sava e Michele Prestipino suona così: Massimo Ciancimino è pieno di soldi, il padre gli ha lasciato una fortuna plurimiliardaria (parliamo ancora di lire). Da solo non saprebbe gestirli e allora si affida a due professionisti, Lapis e Ghiron, vecchie conoscenze di papà, che si mettono al suo servizio per nascondere e far fruttare, attraverso una serie di operazioni anche su mercati esteri, un patrimonio da capogiro. Si tratterebbe della fetta dei soldi che non era ancora stata sequestrata a Vito Ciancimino. E che fetta, visto che lo stesso ex sindaco una volta, in aula, disse stizzito, che del suo patrimonio non ne era stata trovata neppure la metà.

Il grosso degli affari gira attorno alla Gasdotti Azienda Siciliana che viene venduta il 13 gennaio del 2004 al gruppo spagnolo Gas Natural per 114milioni di euro. Il ricavato è reinvestito nell’acquisto di altre società. Per prima l’Agenda 21 Sa con sede a Bucarest, che si occupa di smaltimento di rifiuti solidi urbani. Per intenderci, la società riunisce una serie di piccole aziende e può contare su una mega discarica dove finisce la spazzatura della metropoli rumena e dove ha rischiato di finire anche la “monnezza” di Napoli durante i giorni della recente emergenza. Insomma, un colosso del settore su cui sono ancora concentrate le attenzioni dei magistrati palermitani. Alcune quote di Agenda 21 sono intestate alla Sirco spa, con sede sempre in via Libertà a Palermo. Poi c’è la Air Panarea che collega le isole Eolie con un elicottero, costato 150 mila euro. Infine, la Kaitech Sa con sede in Lussemburgo che si occupa di transazioni finanziarie. Parliamo di beni che superano i cinquanta milioni di euro, tutti finiti sotto sequestro, dietro cui ci sarebbero Massimo Ciancimino e il tesoro di don Vito.

L’impero economico non sarebbe diventato tale senza l’eredità dell’ex sindaco. “C’era troppa sproporzione tra i guadagni di uno che risulta formalmente proprietario di un negozio di divani (il negozio Chateau d’ax di via Libertà ndr), tale era allora Massimo Ciancimino – ricostruisce il sostituto procuratore Roberta Buzzolani – e il suo sfarzoso tenore di vita”. Barche, macchine di lusso e shopping sfrenato da fare invidia a un nababbo. Ciancimino è in grado di spendere migliaia di euro per acquistare una borsa di coccodrillo. Dalle carte di credito a lui riconducibili partono pagamenti per più di trenta mila euro al mese. I conti non tornano. Ciancimino jr non è solo uno che spende molto, ma anche uno che parla molto al telefono. In una conversazione finita agli atti del processo, è lui a guidare Ghiron nella trattativa per vendere la società del gas, indicando anche la banca su cui appoggiarsi. Secondo l’accusa, Ciancimino sta “semplicemente” curando i suoi interessi. Solo consulenze, solo lavoro d’intermediazione: si è sempre difeso l’indagato, escludendo una sua partecipazione diretta nella società e nella spartizione dei soldi. Ai pubblici ministeri che gli chiedono di giustificare alcuni passaggi di denaro in suo favore da un conto corrente svizzero intestato a Ghiron, risponde che si tratta di “anticipazioni di provvigioni” che Lapis gli doveva per il suo lavoro d’intermediazione in giro per l’Europa. Su questo punto Ciancimino oggi fa retromarcia parlando con i magistrati che da qualche mese lo stanno sentendo sulle vicende del papello, la trattativa fra mafia e Stato che avrebbe avuto come protagonista il padre. Ammette che gli spettava una parte dei soldi perché c’era anche lui nell’affare del gas. Gli indizi non mancavano. Ad esempio una strana coincidenza di tempi e luoghi. Nei giorni della vendita della Gasdotti, a Milano, Ciancimino chiama al telefono l’avvocato Ghiron e dice: “Sono sotto l’ufficio del notaio, perché il notaio e a Piazza della Repubblica 22 e l’albergo a Piazza della Repubblica 26”. Non ci vuole molto per accertare che in Piazza della Repubblica c’è lo studio del notaio dove avviene la mega vendita e che sempre nella stessa piazza c’è l’albergo, The Westin Palace, dove Massimo Ciancimino pernotta il 13 gennaio 2004.

L’inchiesta su Ciancimino e il tesoro è piena di colpi di scena. Il primo avviene nel luglio del 2005, quando in casa di Giorgio Ghiron i carabinieri trovano una scrittura privata in cui si parla, oltre che di affari in corso, anche di alcuni beni che, è Ghiron a dirlo, appartengono a Ciancimino: un appartamento in via della Mercede, a Roma, poco distante da piazza di Spagna; la barca Nonno Attilio; una Ferrari Scaglietti che costa 300 mila euro, e il conto denominato Mignon aperto al Credit Lyonnais di Ginevra e in cui vengono depositati 21 milioni di euro. Tutto risulta intestato a Ghiron che nella scrittura privata, però, precisa: “I seguenti beni sono di esclusiva proprietà del sig. Massimo Ciancimino essendo stati comprati dallo stesso con fondi di sua esclusiva proprietà e a semplice richiesta saranno immediatamente volturati a suo nome”.

Sul conto Mignon transita un fiume di denaro, come risulta dalla lista dei movimenti, solo che quando gli agenti della finanza ci mettono gli occhi sopra, siamo nell’aprile del 2004, trovano appena 500 mila euro. Spiccioli rispetto alla montagna di quattrini che vi è finita in pochi mesi. La cifra più grossa è 3 milioni di euro che passano all’Ubs di Ginevra, l’11 febbraio del 2004. Il conto, secondo l’accusa, è stato gestito e utilizzato da Ciancimino, con la collaborazione di Lapis e Ghiron, per acquisire e finanziare società, ma anche per i capricci del figlio dell’ex sindaco. Il 22 gennaio 2004 c’è un bonifico di 230 mila euro per l’acquisto di un motoscafo, Itama 55, che da solo vale un milione e mezzo di euro. Il 10 settembre 230 mila euro vengono girati a Ciancimino per comprare la Ferrari. Il 17 giugno un milione e 500 mila euro transitano in favore di due società Camtech e Kaitech. Appoggiandosi su un altro conto svizzero, il Dea Corp, Ghiron acquisisce la Pentamax, società in franchising che gestisce il negozio di divani che navigherebbe in cattive acque.

E le sorprese non sono finite. Perché nella cassaforte dello studio romano di Ghiron saltano fuori pure due documenti a firma di Vito Ciancimino. Nel primo risulta che don Vito non ha lasciato alcun testamento, che la moglie e i figli Sergio e Giovanni hanno rinunciato all’eredità; mentre i figli Massimo, Luciana e Roberto hanno accettano l’eredità ma con il beneficio d’inventario. L’unico bene disponibile è un deposito bancario di due miliardi di lire chiamato Aurora. Nella stessa cassaforte c’è però un altro documento, datato 23 febbraio 2000, in cui Ciancimino revoca ogni disposizione precedente e nomina i figli Massimo e Luciana “affinché congiuntamente possano avere accesso e controllo a quanto di mia proprietà”. Nello steso periodo Ghiron delega i due figli ad operare sul conto Dea Corporation: sarebbe la prova che don Vito dava il via libera ai figli per agire sui suoi conti e gestire i suoi beni. Cosa che emergerebbe ancora una volta da una conversazione intercettata fra Ciancimino e Ghiron. Otto giorni prima di essere arrestato il figlio dell’ex sindaco dice: “…avvocato, ovviamente, qualsiasi cosa riferibile a me se la levi per adesso”.

Ci sono voluti anni d’indagini e rogatorie in mezzo mondo per arrivare alla sentenza di condanna, contro Ciancimino che ha fatto appello, così come tutti gli altri imputati, attraverso il suo legale, l’avvocato Roberto Mangano. Nelle motivazioni della sentenza il giudice per l’udienza preliminare Giuseppe Sgadari parlando dei beni ha scritto: “Senza intercettazioni, sequestri di documentazioni, rogatorie non sarebbero mai stati visibili ad alcuno. Solo complesse e costose indagini hanno potuto far comprendere che dietro questi paraventi vi fossero i familiari di Vito Ciancimino. Il figlio dell’ex sindaco non appariva mai direttamente, ma sempre attraverso intermediari; ciò dimostrando, dopo la morte del padre, di nutrire piena consapevolezza che sarebbe stato compromettente uscire allo scoperto”. Ed ancora: “Non sono però bastate complesse procedure di occultamento della provenienza del denaro, arzigogolate manovre economiche, a volte efficacissime, oppure posticce” per nascondere la verità. Almeno quella finora scritta dai giudici di primo grado. Adesso le ammissioni di Ciancimino e i suoi nuovi interrogatori potrebbero aprire nuovi scenari giudiziari. Senza dimenticare che la caccia al tesoro di don Vito continua.


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