“L’Europa ci mette in ginocchio”| La guerra dei pescatori siciliani

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25 Ottobre 2019, 20:01

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Le marinerie di Sciacca, Mazara e Licata ancora in agitazione, con il mondo politico compatto a dare sostegno. Tre mesi dopo l’approvazione di un regolamento UE che vieta la pesca a strascico in tre zone del Canale di Sicilia, i pescatori siciliani sono ancora sul piede di guerra e promettono battaglia, raccogliendo consensi tra parlamentari regionali, nazionali ed europei di ogni schieramento.

L’ultima in ordine di tempo a prendere carta e penna è stata Francesca Valenti, sindaco di Sciacca, che ha scritto una lettera al Commissario europeo della pesca, al presidente della Commissione europea sulla pesca, al presidente della Regione e al ministero delle Politiche agricole. Nella lettera Valenti sottolinea lo stato di agitazione della marineria saccense e mette in cima alle sue richieste la “moratoria e deroga” del regolamento EU 982/2019. Come raccontato da Livesicilia la normativa, diventata attiva in Italia il 10 luglio scorso, istituisce tre zone in cui è proibita la pesca a strascico, per permettere la rigenerazione di gambero rosa, nasello e altre specie pesantemente compromesse dalla sovrapesca. Il nuovo regolamento è stato approvato in seguito a raccomandazioni della Commissione generale del mediterraneo per la pesca, un organismo della FAO a cui appartengono gli stati del mediterraneo e del mar Nero.

La lettera del sindaco di Sciacca, firmata e sostenuta anche dal senatore del Movimento cinque stelle Gaspare Marinello e dai deputati regionali Michele Catanzaro, PD, e Matteo Mangiacavallo, Cinque Stelle, chiede altre misure come, tra le altre, il blocco dei regolamenti comunitari sugli scarti, il via libera all’utilizzo di reti a maglie piccole e la riduzione delle multe. Il documento sottolinea poi un presunto sbilanciamento dei regolamenti europei: “Il sistema normativo oggi vigente – si legge – pare tenere conto solo di caratteristiche e numeri, verosimilmente propri della pesca atlantica, che non si attagliano alla specificità della pesca mediterranea. È indispensabile differenziare la normativa della pesca locale da quella che pare riguardare solo imbarcazioni dotate di grandi equipaggi e sistemi e contesti di pesca non esistenti nella nostra realtà”.

Sempre le zone di interdizione alla pesca sono al centro di un altro intervento, quello degli eurodeputati siciliani Giuseppe Milazzo di Forza Italia, Annalisa Tardino della Lega e Raffaele Stancanelli di Fratelli d’Italia, componenti della Commissione Pesca del Parlamento europeo. In una nota congiunta, i deputati scrivono che “a seguito dell’entrata in vigore del regolamento Ue l’attività di pesca delle marinerie che operano nel Canale di Sicilia è stata, di fatto, bloccata”. I deputati chiedono quindi al governo “di farsi portavoce delle istanze di un settore che – si legge – oggi viene fortemente penalizzato da decisioni europee ed internazionali“, e avanzano l’idea di “commissionare nuovi studi scientifici al fine di valutare lo stato degli stock del mediterraneo”.

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Il problema è che il regolamento sulle tre aree di interdizione alla pesca non si può ritoccare, se non in senso più restrittivo. A spiegarlo è Pietro Bartolo, parlamentare europeo eletto in quota PD: “Le decisioni prese dalla CGPM, sotto forma di raccomandazioni poi trasposte all’interno del diritto comunitario attraverso Regolamenti o all’interno dell’ordinamento di ogni stato con le modalità appropriate, sono vincolanti e non possono essere modificate se non in senso più restrittivo“. La proposta di Bartolo è l’instaurazione di “un canale di dialogo tra il Governo italiano e le associazioni di categoria rappresentanti il settore ittico siciliano. Questo è l’unico modo per trovare una soluzione che possa tutelare i pescatori siciliani e al contempo garantire la sopravvivenza del settore nel lungo periodo”.

Nel canale di Sicilia esiste da tempo un problema di eccesso di pesca che sta facendo esaurire gli stock ittici. Secondo un rapporto Fao del 2018, più del 62 per cento delle specie ittiche nel mediterraneo sono “sovrapescate a un livello non sostenibile”, ovvero si pesca più velocemente di quanto i pesci riescano a riprodursi. Proprio per questo la CGPM ha proposto, tra le altre misure, le tre aree di interdizione. Una zona simile, quella del Jabuka nel mare Adriatico, starebbe riuscendo a ristabilire gli stock ittici, secondo un report presentato da ricercatori dell’università di Bologna. In più, come precisano fonti della Ong Oceana, l’Ue sulla pesca adotta una legislazione specifica per il mediterraneo, con misure minime per le catture, battelli utilizzati e altri parametri tarati sulla pesca tradizionale dell’area. Questo succede dal 2006, quando è stato approvato il “regolamento mediterrano” da parte del Consiglio europeo.

Nel frattempo si accende il caso di 56 proprietari di barche costiere che si sono visti chiedere dalla Regione la restituzione di somme ricevute per interventi sui propri battelli. La vicenda nasce nel 2017, quando vennero erogati dei fondi per aumentare l’efficienza energetica delle barche da pesca costiera. Le somme stanziate spaziavano tra 4 mila e 40 mila euro, per un totale di circa un milione di euro, di cui 700 mila messi dalla Regione e il resto con fondi comunitari. Dopo avere assegnato le somme, però, il ministero delle politiche Agricole ha chiesto alla stessa Regione di applicare un nuovo regolamento, sulla base del quale le soglie di finanziamento si sarebbero alzate.

La Regione dunque ha chiesto indietro i soldi già stanziati, spingendo i 56 pescatori a fare ricorso al Tar. Il quale per il momento ha sospeso il decreto con cui la Regione ha chiesto di restituire i finanziamenti. Nell’attesa di una decisione nel merito della faccenda, che arriverà nel dicembre del 2020, i pescatori potranno quindi tenere le somme già ricevute.

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25 Ottobre 2019, 20:01

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