Cronaca

“L’idea di Russo sul Servizio sanitario? Non corregge le carenze”

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23 Agosto 2022, 16:18

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In una riflessione pubblicata dalla Vostra testata online, l’ex assessore alla sanità siciliana Massimo Russo, fa un’analisi del Sistema Sanitario Pubblico in cui propone una iniziativa che, per quanto accettabile in misura generale, non corregge davvero le carenze attuali dell’offerta sanitaria, peraltro causate dalla sua precedente riforma.

L’idea di aggregare in rete le Aziende di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione (ARNAS) e di immaginare un finanziamento separato e non incidente sulla ripartizione del FSN, è meritevole di attenzione e di considerazione. Chiediamoci però perché siamo arrivati a questo punto e perché, da sola, questa aggregazione non sarebbe sufficiente per la sanità siciliana.

“Rete ospedaliera stravolta”

La rete ospedaliera siciliana è stata stravolta (in senso peggiorativo) dalla legge 5 del 2009 che porta la firma proprio di Massimo Russo, al tempo Assessore regionale alla Sanità nella compagine del Governo Lombardo. Quella legge ha cancellato l’autonomia aziendale di tutti gli ospedali – con l’eccezione delle due ARNAS siciliane (Civico di Palermo e Garibaldi di Catania), dei Policlinici universitari (Palermo, Catania e Messina) e dell’unica Azienda per l’Emergenza (Cannizzaro di Catania) – creando le enormi e malfunzionanti Aziende Sanitarie Provinciali (ASP). L’accorpamento delle Aziende Ospedaliere con le Aziende USL ha determinato effetti negativi su almeno due versanti, tra loro consequenziali: 1) la trasformazione del finanziamento che è passato da DRG (Diagnosis Related Groups), cioè basato sulla capacità delle Aziende Ospedaliere di erogare prestazioni di qualità, a “quota capitaria”, cioè calcolata sulla base del semplice numero di cittadini residenti nell’area di pertinenza dall’ASP; 2) la riduzione della qualità percepita dai cittadini che ha eroso il livello di fiducia dei siciliani verso le strutture ospedaliere regionali.

La riforma Russo, inoltre, è stata inefficace anche sul versante organizzativo della rete ospedaliera;  essa, infatti, non ha  minimamente inciso sulla frammentazione dell’offerta dei servizi, dispersa in troppi presìdi ospedalieri di piccole dimensioni, sottodimensionati sia in termini di risorse tecnologiche che di personale; non è, peraltro, intervenuta sulla rete dell’emergenza-urgenza che, ancora oggi, prevede il trasporto del paziente critico nel Pronto Soccorso più vicino, a prescindere dalla capacità del presìdio nel quale insiste di fronteggiare l’emergenza; ancora, essa ha polarizzato l’offerta sanitaria sui bacini di Catania e Palermo (meno su Messina, pur considerata in quanto sede universitaria), trascurando del tutto la fascia centrale dell’isola che comprende le province di Agrigento, Caltanissetta ed Enna; infine (per ragioni di brevità), ha del tutto ignorato l’organizzazione degli ospedali regionali in reti Hub & Spoke, pur fortemente suggerite anche dalle linee guida ministeriali.

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Il rapporto OASI (Osservatorio sulle Aziende e sul Sistema sanitario Italiano) del 2020, elaborato dall’Università Bocconi di Milano, descrive molto bene la situazione della rete ospedaliera nazionale e chiarisce che, mentre al Centro-Nord insistono mediamente tra il 6 e l’8% Ospedali Hub (cioè centri di grandi dimensioni), nelle Isole tale percentuale scende al 2,3%; gli Ospedali Spoke (cioè gli ospedali più piccoli, ma collegati in rete con quelli più grandi), al Centro-Nord sono presenti in percentuali prossime al 18%, mentre nelle isole tale presenza precipita a circa il 13%. Senza nemmeno perdersi in calcoli, si comprende come, soprattutto nell’Italia insulare, l’assistenza sanitaria sia pessimamente organizzata, gravando su ospedaletti di piccole dimensioni, inadeguati a fronteggiare la richiesta di salute dei cittadini.

Le criticità

L’insieme di queste criticità organizzative è probabilmente alla base della migrazione sanitaria che, secondo i dati presentati dal Dr. Francesco Bortolan all’AGENAS, il 18 novembre 2020 e pubblicati sul sito web dell’Agenzia, dopo la riforma Russo è sostanzialmente aumentata in termini non oltre sostenibili; chiariamo fin da subito che quando un cittadino siciliano si reca fuori Regione per farsi curare, l’Assessorato alla sanità paga il conto alla Regione che eroga le cure, prelevando dalla quota assegnata dalla ripartizione del Fondo Sanitario Nazionale quanto necessario determinando l’ulteriore depauperamento delle risorse necessarie a garantire la salute dei cittadini. Ebbene, nel decennio 2008-2018 la spesa sostenuta dalla Sicilia soltanto per questo capitolo è passata da 202.201.491 a 212.847.265 di euro, con un differenziale di oltre un milione di euro per ogni anno. Che, come si capisce facilmente, non si può di certo considerare un successo! Sono evidentemente parole prive di fondamento e senso quelle dell’Assessore regionale uscente Razza che ha dichiarato che, nell’ultimo biennio, la spesa per la migrazione sanitaria si è ridotta: tale dato è falsato dai periodi di lock-down e, più in generale, dall’emergenza epidemica che ha negativamente inciso sulle prestazioni sanitarie in tutto il Paese. Sorprende che la sua visione non riesca a considerare un quadro di insieme in cui i trasferimenti dei pazienti e la costante fruizione di servizi sanitari fuori dall’isola vengano spalmati su un intervallo temporale più congruamente considerato.

“Riorganizzare offerta sanitaria”

È chiaro dunque che, soprattutto in Sicilia, l’organizzazione della rete ospedaliera debba essere necessariamente riconsiderata. Ci auguriamo che il Governo regionale che i siciliani sceglieranno il 25 settembre possa procedere alla riorganizzazione dell’offerta sanitaria, partendo proprio dalla cancellazione della legge 5 del 2009, visto che i precedenti governi, Crocetta e Musumeci, non hanno avuto sufficiente coraggio o competenza per intervenire. Il primo passo da compiere dovrà necessariamente prendere in considerazione la netta separazione tra la medicina del territorio, da assegnare alle USL (meglio se rifondate sul modello veneto di USSL, ovvero di Unità Socio-Sanitarie Locali), e la riorganizzazione delle strutture ospedaliere in Ospedali Riuniti per prossimità territoriale e non sulla base dei confini provinciali, avendo cura di riconvertire i piccoli e piccolissimi ospedali in strutture mono-specialistiche a bassa intensità di cure. Troppi slogan elettorali in vista delle elezioni si preoccupano di dire che è necessario “salvare gli ospedali”; ben pochi però si rivolgono a garantire a tutti i cittadini l’eccellenza dell’offerta sanitaria e la fruibilità delle cure che può derivare solo da una organizzazione efficiente e dal potenziamento razionale delle disponibilità di personale. Non ci sono ragioni per presumere che chi ha causato il malfunzionamento del sistema abbia adesso l’idea geniale, soprattutto se il primo passo non è di revisione. Errare è umano. Vero. Però, francamente, è giunta l’ora di non perseverare! (Fabrizio Pulvirenti)

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23 Agosto 2022, 16:18

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