L’indispensabilità di Miccoli |e un rinnovo ancora in bilico

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01 Ottobre 2012, 11:28

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PALERMO – Come volevasi dimostrare: il Palermo non può prescindere da Miccoli. Mai. E il bravo Gasperini, io penso  – anzi, conoscendolo, me lo auguro – non si porrà più il problema della perfetta, o non perfetta, condizione atletica del nostro capitano. Nel pensare alla formazione per la partita successiva, metterà lui dentro e, poi, sceglierà gli altri dieci.

Così è se vi pare. Contro il Chievo è stata quasi una sorpresa, vederlo in formazione, visti gli “spifferi” dallo spogliatoio che lo volevano ancora in panchina, a beneficio di Hernandez. E subito ho pensato: “Ora glielo farà vedere lui chi è MIccoli, perché quello forse non lo sa ancora”. L’ho pensato ma era più un desiderio, una speranza: fondati entrambi, perché conosco Miccoli da sempre, sin da quando, ragazzino, folleggiava nel Casarano e poi si confermava nel Perugia di Cosmi e so che per amor proprio, per orgoglio ferito, è capace di autentiche imprese. E lui di amor proprio ed orgoglio ferito ne aveva, sino a ieri l’altro, subito anche oltre il lecito, costretto come era stato a rimanere in panchina per tutta la partita o quasi, mentre i suoi compagni in campo sputavano sangue su ogni palla ma non bastava. Mentre, soprattutto, chi gli aveva soffiato il posto, lì nel cuore dall’area di rigore avversaria, pur mettendocela tutta, sprecava l’impossibile. Col risultato che bastava un sol tiro decente per perdere la partita.

Torniamo al caso-Miccoli: si continua a metterlo in  discussione, come fosse un pivello, un mezzo giocatore, uno che, sì, ogni tanto fa una bella partita e qualche bel gol ma, alla fine, corre poco, contrasta meno, ha troppe pause. Come se a un puledro di razza si chiedesse di trainare il carretto. Miccoli è un artista, un fantasista, un inventore di calcio e tipi così vanno lasciati liberi di improvvisare, nessuna cavezza al collo, nessun compito – o compitino – preciso, tipo: contrasta il tuo avversario, arretra a coprire. Roba, codesta, da operaio del pallone e Miccoli operaio del pallone non lo è mai stato, neppure quando, ragazzino, giocava sulla battigia della spiaggia vicino casa sua e gli piaceva palleggiare lì, con la palla appesantita dall’acqua salmastra. In una intervista, per altro telefonica e carpita al volo mentre nessuno, nemmeno lui se l’aspettava, mi disse. “Io e il pallone ci vogliamo molto bene e so che non ci tradiremo mai”. Questo, proprio questo è il concetto. E, quindi, se a uno così, gli togli questo piacere – divertirsi col pallone – gli togli il meglio, o quasi, della vita. Specialmente se lo fai mettendolo in discussione con affermazioni che, per il suo amor proprio e la sua autostima, suonano come intollerabili provocazioni. Tipo: “Miccoli non si discute, ma giocherà solo quando troverà la giusta condizione”. Oppure, peggio ancora: “Miccoli è un campione, ma anche lui deve giocare per la squadra”: E io immagino come sia quest’ultima affermazione, più di qualunque altra, a scuoterne l’orgoglio e fargli uscir fuori il meglio di sé, che, nel suo caso, vuol dire: fantasia, istinto, agilità. E genio e improvvisazione. Come nel suo terzo gol di ieri, quando da metà campo s’è inventato quella mezza rovesciata e ha uccellato (come avrebbe detto il grande Brera) il povero Sorrentino.

Quello stesso Sorrentino che lo aveva troppo platealmente consolato, alla fine del primo tempo, quando Miccoli, pescato in fuori gioco, lo aveva scavalcato con un delizioso pallonetto. Sorrentino gli si era avvicinato, l’aveva accarezzato a lungo sul collo e sussurrato qualche parolina all’orecchio. Io ho avuto il tempo di guardare sul piccolo monitor, collocato davanti a me in tribuna stampa, e vedere in  primo piano la faccia del capitano e ho avuto netta la sensazione che non stava apprezzando minimamente né il gesto né tanto meno le parole del portiere clivense. Come dire: “Sì, sì, scherza pure, vedrai quello che ti sto preparando”.

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E così è stato: nel secondo tempo, il capitano si è scatenato, è diventato una furia, pur restando sempre quel tipo lì, fisicamente, un po’ tozzo, grassottello e con le gambe corte. Ma il suo avversario non l’ha visto più: intendo non solo la palla, ma lui, perché gli sgusciava da tutte le parti, in un metro di spazio come in dieci, e sono venuti il suo secondo gol, dopo un triplice dribbling e il terzo, siglato da Giorgi, ma preparato, confezionato, anzi letteralmente inventato da un suo irresistibile guizzo sul filo del fallo di fondo, quando lo spazio diventa più una dimensione del pensiero, che un qualcosa di reale.

E l’apoteosi finale, col pubblico, che mai lo aveva messo in discussione, di nuovo impazzito per lui: tutti in  piedi a osannarlo, in un unico, lunghissimo, interminabile coro: “Un capitano.. C’è solo un capitano…”. E lui, con le braccia al cielo, a guidare la squadra fin sotto la curva nord, là dove aveva sfoderato la sua tripletta (sì, ci metto, anche il gol del bravo Giorgi), come un omaggio personale ai “suoi” tifosi, quelli che lo vorrebbero sempre in campo, pure con una gamba sola. Quei tifosi ai quali Miccoli ha pensato nelle interviste del dopo partita: “Abbiamo un pubblico meraviglioso –  ha detto fra l’altro -, non ho mai visto da nessun’altra parte niente del genere: eravamo in crisi, gli ultimi in classifica, eppure non ho sentito un solo fischio”.

Che tipo, il nostro capitano! Uno che, oltre a giocare come sa, dice pure le parole giuste al momento giusto. Come quando, sollecitato a parlare del rinnovo del contratto, ha detto: “Rinnovo? Io so solo quello che ha detto il presidente, e cioè che di rinnovi si parla a fine stagione, non a gennaio”. Come dire, se qualcuno non si fida di lui, del suo immutato valore di campione, si prenda la responsabilità di perdere un campione che è nella storia rosanero.

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01 Ottobre 2012, 11:28

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