I calci presi e quello dato: vita e miracoli di Silvio Baldini

I calci presi e quello dato: vita e miracoli di Silvio Baldini

Chi è il mister rosanero, tra sbagli e ritorni in vetta. Ma è uno che ci mette sempre il cuore.
PALERMO - IL PERSONAGGIO
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Silvio Baldini piace perché ha l’occasione di piantare in vetta il vessillo rosanero, con un’intera città al suo fianco. Piace perché ha dimostrato di essere un vincente, prendendo una squadra esangue e tirandole su l’anima – che si cercava, ma non si trovava – rimboccandole la coperte del coraggio. Piace perché il calcio è un pozzo, ti accorgi del secchio quando arriva su. E’ diventato un mondo superficiale, il calcio, da quando non ha più la sua fragranza in bianco e nero e abbiamo sempre meno cantori capaci di guardare il luccichio dell’acqua in fondo. Ecco perché Baldini, adesso, piace a tutti, pure a quelli che, magari, lo crocifiggevano. Che brutto il campo quando hanno ragione soltanto i risultati. Ma a noi piacerebbe lo stesso, pure se fosse uno che non vince manco a tombola, perché ha le manone di Bud Spencer e gli occhi da bambino. Uno che, talvolta, mena (e non si fa), però in un modo talmente plateale che capisci che perfino gli sbagli, per lui, sono un affare del cuore. Come si può non volergli bene?

Pane al pane, muro al muro…

Silvio Baldini ci piace perché, ogni volta che apre la bocca per dire qualunque cosa, sta afferrando proprio il suo cuore e lo sta mostrando. E’ un atto di forza, non di fragilità, questo accettare di essere feriti o derisi, pur di rimanere se stessi. E ce ne vorrebbe di gente così che, a un certo punto, spezza la lavagna degli schemi prestabiliti, apre le finestre e dice: ragazzi, la vita è là fuori, andiamo a prendercela. Non ci voleva, invece, un mago della tattica per il Palermo (ma Silvio è bravo, le sue squadre hanno giocato quasi sempre bene). Era necessario uno che avesse la faccia tosta di dire pane al pane, vino al vino, muro al muro su cui, idealmente, sbatti qualcuno, quando non si sintonizza. Ricorda un po’ Mazzone, quel Carletto Mazzone che gli basta dire “Roma”, per vedere i suoi occhi inumidirsi. E ci rammenta (Silvio, come Carlo), un calcio di pane e di vino, con ‘Novantesimo minuto’ in un televisore con l’effetto neve, il calore delle famiglie e tutte quelle vecchie cose di pessimo gusto degli anni Ottanta che ci hanno reso felici.

I calci presi e quello dato

Certo, il calcione nelle terga a Mimmo Di Carlo, in un indimenticabile Parma-Catania. Lo ripetiamo: non si fa, fu un bruttissimo gesto. Ma veniva dal cuore sbroccato di un attimo. Era un reperto umano su cui vanno calcolate tutte le pedate prese da chi non è mai uscito dalla gavetta dell’alterigia altrui. E la lite con Zamparini che portò Baldini Silvio all’esonero in rosanero, poi venne Guidolin Francesco per raggiungere la storica promozione in serie A. Ma, alla morte dell’ex presidente, le parole rintoccarono sincere: “Io non sono uno che fa tanti giri di parole e che dice le solite cose quando una persona scompare. Purtroppo lui da presidente mi ha ferito molto e mi ha fatto stare male”. Era un omaggio, la verità di un essere umano, un autentico segno di rispetto e di amore. Ti dico quello che penso di te, perché è il modo più onesto di salutarti, mentre prendi congedo dai nostri occhi e dalle nostre mani. Con la morte e con la vita non si mente mai.

‘Un uomo di fede’

“Un uomo buono, un uomo di fede, uno che crede fortemente in un piano della Provvidenza, ovviamente con l’iniziale maiuscola”, spiega chi lo conosce. E aggiunge: “Guarda l’ultima conferenza stampa”. Ed ecco alcuni estratti di S.B. in differita social: “Sono felice che quando i giocatori del Palermo, stasera, andranno a casa, pensando ai loro affetti, possano dire: ho provato qualcosa di indescrivibile…”. E ancora: “Io abito a Massa Carrara dove si vendono i marmi, un giorno un signore mi fa raccontato che era così povero che da bambino gli davano mangiare un limone. Ma lui sognava qualcosa di più… La dignità e il coraggio alimentano la speranza”. Non è retorica, se sei inzuppato di sudore al termine della partita. E’ un linguaggio che, forse, non tutti possono afferrare, se, per loro, la cosa che conta è il risultato sul tabellone. E la bellezza? E il viaggio? E il batticuore?

‘Voglio sognare’

Ha scritto di lui il maestro Benvenuto Caminiti: “Il mio grazie all’allenatore affonda le sue radici a… diciotto anni fa, quando gli parlai per la prima volta e lui era reduce dalla sua prima acchianata a Santa Rosalia: scoprii in quell’occasione una persona speciale oltre che un allenatore ‘diverso’, perché più che di numeri, dati statistici e moduli di gioco, preferisce parlare di autostima, di fede, di condivisione, di rispetto delle regole”. Era diverso anche quando, nei giorni del ritiro del suo primo Palermo, molti anni fa, se la memoria non inganna, spaccò in due il tavolo dell’hotel, come dimostrazione della forza che ci avrebbe messo e che avrebbe preteso. Bud Spencer si sarebbe regolato nella stessa maniera. Del resto, nell’ennesima delle trafelate interviste del dopo-partita, lo stesso Silvio ha ammesso il suo identikit più genuino, gridando: “Voglio essere libero, voglio sognare”. E qualcuno avrà pensato: eccolo lì, il solito Peter Pan fuori stagione. Ma che importa avere o non avere ancora le ali, se il tuo cuore è miracolosamente rimasto la pista di ogni decollo, come quando avevi dodici anni? (Roberto Puglisi)


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