Cacciato senza stipendio | La Regione dovrà risarcirlo - Live Sicilia

Cacciato senza stipendio | La Regione dovrà risarcirlo

All'ex direttore generale delle Attività produttive, Nicola Vernuccio, fu revocato quattro anni fa l'incarico insieme a quello di altri otto esterni (tra cui Monterosso, Zappia e Interlandi). Il vecchio esecutivo gli riconobbe solo la busta paga di un funzionario. Ma il tribunale del lavoro ha deciso: "Ha svolto il ruolo di capo dipartimento. E gli va riconosciuto quello stipendio".

PALERMO – Lo avevano cacciato, insieme ad altri cinque dirigenti generali. Ma a lui non avevano nemmeno pagato lo stipendio. Per sette mesi. La Regione però adesso dovrà restituire quei soldi, e con gli interessi, a Nicola Vernuccio, ex capodipartimento delle Attività produttive e attuale vertice di Resais. Circa 80 mila euro. Tanto la pubblica amministrazione dovrà sborsare per onorare la busta paga dell’ex manager, unico ad aver avanzato ricorso contro la Regione.

“Mi risulta – racconta infatti Vernuccio – che la Regione non pagò gli stipendi soltanto al sottoscritto, a Rossana Interlandi e a Gianmaria Sparma. Quest’ultimo, però, poi fu nominato assessore. E decise di non fare ricorso. Mentre stranamente gli stipendi di tutti gli altri ‘esterni’ a cui fu revocato l’incarico furono regolarmente pagati”.

E Vernuccio avanza il proprio ricorso proprio dopo la revoca dell’incarico a lui, Rossana Interlandi (Energia), Patrizia Monterosso (Formazione e istruzione), Gianmaria Sparma (Pesca), Mario Zappia (Sanità) e Rino Lo Nigro (Agenzia per l’impiego). Quest’ultimo, a dire il vero, si dimise prima della revoca. Siamo nella seconda metà del 2010. E la vicenda dei “manager esterni” della Regione incendia i dibattiti politici. Sono troppi? Violano la legge Brunetta? Sono state verificate eventuali risorse interne? Posseggono i requisiti?

Di quei nove direttori verranno salvati solo Romeo Palma (ancora alla guida dell’Ufficio legislativo e legale), Salvatore Barbagallo e Maurizio Guizzardi (che lasceranno la Regione successivamente). E il ricorso di Vernuccio – unico tra i nove, discussi esterni del governo Lombardo a far causa alla Regione – non è solo incentrato su quella revoca, frutto allora di un’istruttoria alla quale contribuì anche il garante per l’antitrust Giovanni Pitruzzella, bensì sul mancato pagamento dello stipendio per quei sette mesi di lavoro come capodipartimento.

Agli esterni, infatti, era stato affidato l’incarico nel 2010, ma a quello non era mai seguito un effettivo contratto. Anzi, dopo la revoca, l’allora governo Lombardo stabilì che ai dirigenti generali senza contratto andasse applicato un trattamento economico pari a quello dei funzionari di categoria “d1”. L’eventuale erogazione di uno stipendio da “direttore” a chi non aveva sottoscritto il contratto, secondo il vecchio governo, avrebbe potuto causare un “illecito arricchimento”.

In “soldoni”, a Vernuccio sono stati versati circa 17 mila euro lordi al posto dei 170 mila che spettavano al capodipartimento. Una decisione che è stata “cassata” chiaramente dal Tribunale del lavoro di Palermo: “L’azione di indebito arricchimento – scrive infatti il giudice – muove dal presupposto che un soggetto abbia conseguito un’utilità economica con correlativa diminuzione patrimoniale di altro soggetto ‘senza giusta causa’”. Ma c’è di più. Secondo il giudice, infatti, è evidente che la pubblica amministrazione abbia affidato a Vernuccio compiti che vanno ben al di là del ruolo di un funzionario. “E’ pacifico – scrivono sempre i giudici – che il ricorrente sia stato chiamato a svolgere funzioni dirigenziali”.

Così, viene smontata la tesi del governo Lombardo, e Vernuccio decide di togliersi qualche “sassolino” dalla scarpa: “I giudici hanno bocciato clamorosamente – spiega – la tesi suggerita da qualche luminare, ex assessore e ora baby-pensionato, così come lo definì il mio assessore Marco Venturi. Adesso, oltre a pagarmi gli arretrati – prosegue Vernuccio – la Regione dovrà sborsare anche cifre in più per gli interessi, le rivalutazioni e le spese legali. Questo per colpa della ignavia di qualche burocrate e oltre che dell’azione dell’organo politico. In entrambi i casi – conclude l’ex direttore – mi riservo di denunciare i fatti anche alla Corte dei conti. Affinché verifichino di chi sia la responsabilità delle spese ulteriori che la Regione dovrà sobbarcarsi”.

A quanto ammonta il “risarcimento”? La Regione, stando alla sentenza, dovrà scucire oltre ottantamila euro. “Al ricorrente deve riconoscersi – si legge infatti nella sentenza – per il lasso temporale in cui tali funzioni risultano di fatto eseguite (dal 19 gennaio 2010 al 5 luglio 2010), il trattamento economico fondamentale spettante ad un dirigente generale quale definito dal Contratto collettivo di lavoro del comparto dirigenziale. Il tutto oltre interessi dalle singole scadenze al saldo”. Quella somma ammonta a circa 103 mila euro, visto che, come spiega sempre il giudice del lavoro, al direttore non può riconosciuto “il trattamento economico accessorio, nel suo duplice atteggiarsi di retribuzione di posizione parte variabile e retribuzione di risultato, poiché né l’una né l’altra spettano automaticamente per il solo fatto dello svolgimento di funzioni dirigenziali”. Poco male. Vernuccio dovrà rinunciare a circa 60 mila euro. Dovrà accontentarsi degli altri ottantamila.


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