Colpo di scena nel delitto Mazzullo |Cassazione annulla l'assoluzione - Live Sicilia

Colpo di scena nel delitto Mazzullo |Cassazione annulla l’assoluzione

Domenico Mazzullo venne freddato a Calatabiano nel 2002 per un regolamento di conti all’interno della cosca. Il padrino Antonino Centorino venne condannato come mandante in primo grado a 30 anni per poi essere assolto in appello. I giudici della Cassazione adesso riaprono la vicenda giudiziaria accogliendo il ricorso del Pg Gaetano Siscaro. Tutte le accuse e i segreti del processo.

CATANIA – Ricorso del Pg Gaetano Siscaro accolto e sentenza annullata con processo in appello da rifare. E’ questa la decisione della quinta sezione della Corte di Cassazione sulla sentenza d’assoluzione del processo in appello al boss Antonino Cintorino, condannato in primo grado a 30 anni per essere ritenuto il mandante dell’omicidio di Domenico Mazzullo, avvenuto a Calatabiano in provincia di Catania nel novembre 2002.

La vittima, freddata con due colpi di revolver mentre entrava nella sua auto, era diventato il sostituto designato del boss all’interno della cosca di riferimento del clan catanese dei “Cappello” operante nella zona che da Calatabiano conduce fino a Giardini Naxos.

L’uomo, secondo la ricostruzione degli inquirenti, aveva però creato delle forti tensioni all’interno dello stesso clan, culminate nel regolamento di conti. I soldi della droga che il reggente gestiva, provenienti dal maxi traffico di cocaina e ecstasy che durante la stagione estiva rifornisce lo “sballo” di locali e discoteche da Giardini a Taormina, non venivano più distribuiti tra gli affiliati e i picciotti detenuti.

A non essere trattato con le giuste attenzioni sarebbe stato anche il figlio del boss, Filippo. Mazzullo non avrebbe provveduto ad accompagnarlo nel carcere di massima sicurezza di Spoleto dove il padre era all’epoca dei fatti detenuto. Motivi che secondo l’accusa portarono il boss Antonino Cintorino a decidere l’eliminazione di Mazzullo. Decisiva nella sentenza di condanna in primo grado venne reputato il racconto del collaboratore di giustizia messinese Salvatore Centorrino anch’egli affiliato al clan dei “Cappello”. L’uomo nel 2007 rivelò che durante un incontro nel carcere di Spoleto il padrino Antonino Cintorino gli rivelò di essere stato lui a dare l’ordine dal carcere tramite una lettera criptata indirizzata ad un “figlioccio” del gruppo.

La Corte d’Appello tuttavia pur ritenendo credibile il collaboratore di giustizia non reputò coerente il racconto in relazione agli altri protagonisti della vicenda ed in particolare al presunto “mandante”, Carmelo Spinella.

A contendersi all’epoca dei fatti il controllo del gruppo sarebbe stato anche Rosario Lizzio, responsabile di Giardini Naxos e inizialmente incaricato di commettere l’omicidio. Progetto che tuttavia saltò grazie ad un perquisizione della Squadra Mobile di Bologna. In un altro filone del processo, che in primo grado vedeva tra gli imputati i fratelli Spinella e lo stesso Rosario Lizzio, lo scorso febbraio è arrivata l’assoluzione in primo grado per non aver commesso il fatto. Per i tre imputati il pm Giuseppe Gennaro aveva chiesto condanne dai 24 ai 18 anni.

La storia del boss Antonino Cintorino e dell’omonimo clan rappresenta una delle pagine più buie della raccapricciante ascesa della mafia nei paesi del litorale Ionico. Arrestato nel 1992, in carcere da vent’anni, durante un periodo della sua detenzione, a subentrare al comando della cosca fu l’allora venticinquenne moglie Maria Filippa Messina. La casalinga dal doppio volto venne arrestata nel febbraio del 1995 per aver ordinato ai suoi “uomini” una strage. E’ la prima “fimmina” italiana dal doppio primato: condannata per associazione mafiosa e sottoposta al regime del carcere duro del 41bis.


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