09 Aprile 2018, 15:58
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PALERMO – Una cosa è il disordine contabile, la mancata tracciabilità del denaro investito. Altra cosa è l’accusa di mafiosità. Sette anni e mezzo dopo il sequestro chiesto e ottenuto dalla Procura di Palermo vengono restituiti tutti i beni all’imprenditore Francesco Lena.
Il patron dell’azienda “Abbazia Santa Anastasia” di Castelbuono, nato a San Giuseppe Jato 82 anni fa, era stato pure arrestato con l’accusa di essere un prestanome dei mafiosi, un riciclatore di soldi sporchi per conto dei clan. Il processo penale si è concluso con l’assoluzione ormai definitiva.
Restava in piedi la misura di prevenzione patrimoniale e personale. Ora il Tribunale per le Misure di prevenzione di Palermo (presidente Giacomo Montalbano, giudice relatore Luigi Petrucci, giudice estensore Giovanni Francolini) ha dato ragione all’imprenditore e ai suoi legali, gli avvocati Andrea Dell’Aira e Rosario Vento.
Il nome di Lena era stato associato a boss del calibro di Bernardo Provenzano (secondo l’accusa, il defunto padrino corleonese era il vero proprietario dell’Abbazia), Salvatore Lo Piccolo, Nino Madonia e Antonino Rotolo. Si partiva da alcune intercettazioni in cui i boss parlavano di favori resi da Lena. Secondo il collegio, però, “non è possibile comprendere in cosa sia consistito il favore”, né i pentiti hanno saputo aggiungere ulteriori elementi.
In più, ci sono i risultati della perizia disposta dai giudici sul patrimonio di Lena. “I dati rassegnati dai periti, pur evidenziando anomalie contabili e il fatto che Lena abbia disposto di denaro contante la cui tracciabilità non può affermarsi – scrivono i giudici – non consentono di confermare la prospettata appartenenza a un’associazione di tipo mafioso”.
Anomalo è stato considerato il pagamento in contanti di 10 miliardi di lire da parte dei padri rogazionisti all’impresa di Lena, “ma non vi sono elementi per per assumere la provenienza illecita. Per il resto non è possibile in alcun modo individuare la fonte delle somme utilizzate da Lena già dagli anni Ottanta, ma al contempo nel disordine contabile e dalla disponibilità di esse non si traggono elementi che depongano per la loro riferibilità alle attività illecite in seno a Cosa nostra”. Ed ancora: “Né sulla base dei dati contabili può affermarsi che le attività imprenditoriali di Lena abbiano tratto vantaggio da rapporti da lui intrattenuti con l’organizzazione criminale”.
Da qui il no alla richiesta della Procura della Procura di applicare a Lena la sorveglianza speciale e e la restituzione delle seguenti imprese: Abbazia Sant’Anastasia, Lena Costruzioni, Cosistra, Saices, Lena Edilizia 2000, Lena 2009, Feudo Zurrica, Ata, Led Italia.
Dell’Abbazia, che comprende una tenuta e un hotel di lusso, si è parlato anche nello scandalo che ha travolto l’ex presidente delle Misure di Prevenzione, Silvana saguto, radiata dalla magistratura. Sotto processo a Caltanissetta c’è anche l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo, indagata per concussione in concorso con Saguto. Saguto avrebbe imposto all’amministratore Alessandro Scimeca l’assunzione nelal struttura del figlio di un amico della Cannizzo, Richard Scammacca.
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09 Aprile 2018, 15:58