Dalla mafia alle case dei siciliani| Confiscati beni per 150 milioni

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14 Agosto 2018, 07:15

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PALERMO – La famiglia mafiosa Galatolo dell’Acquasanta avrebbe controllato il cuore dell’attività del mercato ortofrutticolo di Palermo. Una regia occulta targata Cosa nostra stabiliva il prezzo della frutta e gestiva il confezionamento e il trasporto dei prodotti che finivano sulle tavole dei siciliani e dei consumatori di mezza Italia.

La Dia di Palermo esegue una confisca da 150 milioni decisa dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. I beni colpiti appartengono ad Angelo e Giuseppe Ingrassia, entrambi palermitani di 61 anni, considerati “vicini e contigui” a Cosa nostra. Sono loro gli insospettabili imprenditori, titolari di vari stand all’interno del mercato di via Montepellegrino, che avrebbero consentito alla mafia di dominare il settore. Soprattutto grazie all’attività della cooperativa Carovana Santa Rosalia che si occupava di compravendita di frutta, facchinaggio, trasporto e vendita di cassette in legno e imballaggi.

Giuseppe Ingrassia è stato ritenuto dal Tribunale di Palermo “socialmente pericoloso” e per questo sottoposto a sorveglianza speciale per quattro anni. La notizia della confisca arriva nel giorno in cui il direttore della Dia, il generale Giuseppe Governale, sarà a Catania dove il ministro dell’Interno Matteo Salvini visiterà la Geotrans, una società in amministrazione giudiziaria che dal 2014 continua ad operare sul mercato con ottimi risultati.

È antica la storia delle infiltrazioni mafiose fra gli stand della struttura di via Montepellegrino. Angelo Fontana, pentito dell’Acquasanta, le faceva risalire alla fine degli anni Settanta quando “il mercato pagava il pizzo, lo pagavano tutti, c’era Pinuzzu Civiletti che raccoglieva i soldi ogni stand ed all’epoca mi sembra si pagavano 250 o 300.000 lire”.

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Erano gli anni in cui sulla struttura si estendeva la longa manus di Saro Riccobono, capomafia di Partanna Mondello. Poi, fra arresti, morti ammazzati e stragi la pressione mafiosa divenne per un periodo meno asfissiante. “No che non c’era interesse, non c’erano le persone adatte”, spiegava nel 2009 il collaboratore di giustizia. Superata la stagione delle bombe, i soldi del mercato tornarono a fare gola ai boss: “… c’era Ingrassia che aveva però una grossa fornitura ai militari di Palermo, al quartiere militare di Palermo e ci dava a noi 45 milioni all’anno per questa fornitura… gli ultimi soldi da Ingrassia sono andato io a prenderli… nel ’95, ’96”.

E da allora ricominciò la stagione del controllo totale degli affari nei depositi di frutta sotto il controllo dei Galatolo, signori dell’Acquasanta: “… poi ci fu Vito Galatolo, mio cugino – metteva a verbale Fontana – ci furono tutti che avevano gli stand dentro il Mercato ortofrutticolo…”.

Un altro pentito, Andrea Bonaccorso, soldato della cosca di Brancaccio che avrebbe finito per legare le sorti della sua carriera criminale ai Lo Piccolo di San Lorenzo, sempre nel 2009 spostava il racconto in avanti nel tempo: “Nel 2000 e fino a tempo fa ancora portavano avanti questa cosa, le cassette di legno, sempre che usavano chi scendeva la merce dei paesi, li dovevano prendere tutti in una persona, che questa persona era vicina a Vito Galatolo… e dopo, siccome tutto quello che era dei Galatolo, quando sono stati arrestati, l’hanno preso i Fontana, quindi è stata una cosa che dopo i Galatolo l’hanno presa i Fontana… in pratica, di fronte all’entrata principale del mercato, di fronte c’è un bar e c’è uno sgabuzzino ed in questo magazzino, in pratica, c’è questa cosa di cassette, le cassette vuote; allora, chi doveva scendere la merce a Palermo, la frutta, la verdura, avevano imposto che dovevano prendere pure le cassette da questi qua”. Si tratterebbe di Angelo e Giuseppe Ingrassia, colpiti oggi dalla confisca fabbricati, appartamenti, terreni, negozi e magazzini, quote di partecipazione societarie, auto, moto. mezzi pesanti, rapporti bancari e prodotti finanziari.

A rafforzare il quadro ricostruito dalla Dia anche alcune indagini della Procura di Napoli che nel 2016 fece emergere che alcuni indagati, fra cui il fratello di Totò Riina, Gaetano, avrebbero controllato controllare il trasporto su gomma dei prodotti che partivano dai mercati ortofrutticoli di Fondi, Aversa, Parete, Trentola Ducenta e Giugliano per giungere in quelli siciliani di Palermo, Catania, Vittoria, Gela e Marsala.

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14 Agosto 2018, 07:15

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