“A Brancaccio lo volevano morto” | Zarcone racconta il delitto mancato

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12 Dicembre 2014, 06:10

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PALERMO – Antonino Zarcone, mafioso dal cuore buono. È lui stesso a descriversi così. Talmente buono da avere salvato la vita a Salvatore Lauricella. “Mi dovrebbe ringraziare”, dice oggi Zarcone nel frattempo diventato collaboratore di giustizia. Erano gli uomini di Brancaccio a volere morto Lauricella, figlio di Antonino, il boss della Kalsa che tutti chiamano ‘u Scintilluni.

Il pentito del clan di Bagheria, sentito al processo Argo dal giudice per l’udienza preliminare Wilma Mazzara, entra nel dettaglio: “Nel 2010-2011 c’era gente di Brancaccio che lo voleva morto perché si era comportato male… Io seppi che c’era questo piano e allora mi misi in mezzo. Dissi che garantivo io ed evitai il peggio, grazie ai miei buoni rapporti con Bruno”. Si tratta di Natale Bruno, uno degli ultimi capimafia a finire in cella. Poche settimane fa lo ha arrestato la polizia piazzandolo nei piani altri della gerarchia del potente clan di Brancaccio. Di più Zarcone non dice come è spesso accaduto in questi mesi. Una scelta per proteggere le indagini in corso a cui lui fa riferimenti continui. Segno che dalla sua collaborazione bisogna attendersi chissà quanti altri fatti e destro scena inediti agli stessi carabinieri che negli ultimi anni hanno smantellato il clan bagherese.

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Lauricella, in cella dal 2013 con l’accusa di essersi occupato di estorsioni fra Bagheria e Villabate, avrebbe dovuto pagare con la vita il fatto di avere chiesto il pizzo lontano dal territorio di sua competenza. E non solo. Nel racconto di Zarcone spuntano gli affari delle machine di lusso per gente facoltosa. “Compravamo e vendevamo automobili – racconta rispondendo alle domande del pubblico ministero Francesca Mazzocco – e fra di noi gli scambi erano molto frequenti. Ma una volta ci fu una questione su una Porsche Cayenne”.

Lauricella aveva comprato il Suv per poi rivenderlo proprio a Zarcone per trenta mila euro. Il pentito di soldi ne aveva già sborsato 18 mila quando il mezzo fini sotto sequestro per via di un vizio nel finanziamento del primo proprietario. Il peggio fu evitato perché Zarcone riuscì a bloccare “i due assegni di Pietro Granà” (pure lui sotto inchiesta) per coprire l’intera somma. Anche in questo caso si arrivo al muro contro muro.

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12 Dicembre 2014, 06:10

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