03 Ottobre 2014, 19:17
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PALERMO – Pizzo, armi, summit e contatti costanti con i boss palermitani. Il primo verbale di Antonino Zarcone è datato 29 settembre. La sua collaborazione con la giustizia è iniziata una manciata di giorni fa.
Diciotto pagine, per lo più omissate, dalle quali emerge con chiarezza lo spessore del collaboratore di giustizia di Bagheria. Le sue dichiarazioni confermano che anche la Cosa nostra palermitana ne sarà travolta. Il capomafia vuota il sacco perché, dice, vuole un futuro diverso, per se stesso e per chi gli sta vicino. Vuole liberarsi del peso che porta dentro.
Il suo racconto comincia con la conferma di avere avuto “un ruolo direttivo nel mandamento di Bagheria nel 2011”. Nella popolosa cittadina alle porte di Palermo comandava un triumvirato: “La co-reggenza fra me, Messicati Vitale Antonio e Di Salvo Giacinto consisteva in una divisione di ruoli”. Il suo era particolarmente delicato: “Io ero incaricato dei rapporti con i palermitani, Messicati Vitale si occupava dei contatti con i mandamenti fuori Palermo (Misilmeri etc) e Di Salvo delle estorsioni e dei lavori all’interno della famiglia di Bagheria. Il vero capo, però, era Nicola Greco che si relazionava con Di Salvo Giacinto”.
Le citazioni, dunque, confermerebbero il ruolo apicale che i carabinieri del Nucleo investigativo di Palermo hanno attribuito a ciascuno dei personaggi tirati in ballo da Zarcone. Sono tutti in carcere, tranne Messicati Vitale, tornato libero per decorrenza dei termini di custodia cautelare dopo essere stato arrestato a Bali.
Zarcone fa alcuni cenni sulle estorsioni subite da due imprenditori edili: “Io autorizzai Pietro Liga a portare avanti la richiesta estorsiva ma poi, non avendo notizie, chiesi a Daniele Lauria informazioni e appresi che l’imprenditore era nelle sue mani e che aveva già pagato il pizzo a Pietro Liga”. E qui spunta il primo contatto con la mafia palermitana, visto che Lauria viene considerato affiliato alla famiglia di Palermo Centro, mandamento di Porta Nuova.
Pizzo e tragedie. Perché “Liga negò l’attività estorsiva, camuffandola con un prestito personale. Riferì allora a Lauria che l’imprenditore non era a posto e questi chiuse l’estorsione, tramite Paolo Suleman, a 4 mila euro all’anno. Suleman, però, non portò il denaro e successivamente tramite Michele Armanno si ottennero 4000 mila euro per la messa a posto. Ancora dopo la responsabilità della messa posto transitò nelle mani di Franco Lombardo”.
Ed ecco altri due nomi pesanti della mafia palermitana: Armanno è considerato il capo mandamento di Pagliarelli, ai cui ordini rispondeva lo stesso Suleman, indicato al vertice della famiglia di corso Calatafimi. La seconda estorsione di cui parla Zarcone “fu chiusa con 30 mila euro per la messa a posto e 8 mila euro di mediazione per Vincenzo Urso. I soldi mi furono recapitati in più tranches, prima 8 mila euro, poi dieci mila, successivamente altri dieci mila. I soldi della messa a posto confluirono nella cassa di Bagheria e furono utilizzati per il mantenimento dei familiari di Pino Scaduto, all’epoca detenuto”.
Con Scaduto, un tempo capomafia di Bagheria, si apre l’elenco di personaggi sui quali Zarcone risponde in maniera secca. Una girandola di nomi:“Salvatore Giuseppe Bruno era vicino a Sergio Flamia (anche lui oggi è un collaboratore di giustizia ndr) ed era a sua disposizione anche se con lui non ha avuto rapporti diretti. Bruno si occupava di sale giochi e gli interessi in tale settore erano curati da Flamia”; “Cirrincione Michele è interno a Cosa nostra, famiglia di Villabate, a disposizione di Lauricella Salvatore, nel settore delle estorsioni”; “Gagliano Vincenzo era vicino a Sergio Flamia e il Flamia era solito utilizzare il supermercato del Gagliano per incontri. Il Gagliano si metteva a disposizione anche con me per organizzare appuntamenti sia miei che di Di Salvo”; “Girgenti Silvestro è un mio caro amico. Ho usufruito del suo locale per effettuare degli appuntamenti. Non ho mai incaricato Girgenti di commettere reati”; “Umberto Guagliardo è un ragazzo a disposizione di Franco Lombardo… nel settore dei furti, delle rapine, delle estorsioni”.; “Rosario La Mantia è un personaggio vicino a Cosa nostra già ai tempi di Pino Scaduto. È riuscito a ottenere, attraverso l’imposizione di Pino Scaduto e Pietro Granà, un lavoro in un cantiere. Ha gestito anche una parte in una vicenda estorsiva. Non ha avuto un ruolo formale in Cosa nostra anche sera vicino a molti elementi al vertice dell’organizzazione”; “Pietro Liga non è uomo d’onore anche se fa parte di Cosa nostra con compito di esattore del pizzo”; “Franco Lombardo fu affiliato da me, Gino Di Salvo e Tonino Messicati Vitale. Il suo padrino fu Gino Di Salvo”; “Su Driss Mozdahir riferisco che si occupava di furti e rapine ed era usato dalla famiglia mafiosa per controllare il territorio e comunicare i movimenti delle forze dell’ordine”; “Salvatore Lauricella è un uomo d’onore della famiglia di Villabate, molto legato a Messicati Vitale. Si occupava di estorsioni e fungeva da tramite per contati con uomini d’onore di Palermo”.
Infine cita due personaggi, anche questi considerati legati al clan di Bagheria e già in cella. Dichiarazioni che aprono ulteriori spunti di riflessione. I mafiosi hanno continuato ad incontrarsi senza soluzione di continuità: “Vincenzo Graniti è a me molto vicino e l’ho utilizzato per accompagnarmi agli incontri di mafia in quanto non attenzionato dalle forze di polizia. Ho incaricato Graniti di custodire delle armi per mio conto, che questi ha poi riconsegnato a Sergio Flamia. Tali armi erano più che altro pistole (circa 10) che ho reperito per il tramite di Messicati Vitale Antonino e Pietro Lo Coco”. I boss bagheresi non solo si incontravano, ma erano pronti a sparare.
E poi conferma che gli equilibri e le gerarchie dei clan mafiosi vengono decise dall’alto: “Di Salvo Giacinto, dopo l’arresto di Pino Scaduto, ha comunicato di essere stato incaricato di gestire la famiglia di Bagheria, coordinandosi con Giovanni Trapani di Ficarazzi. Con lui mi sono coordinato successivamente e Di Salvo ha sempre tenuto la cassa del mandamento”. Qualcuno, dunque, aveva deciso che Di Salvo doveva diventare il nuoco capo della famiglai di Bagheria.
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03 Ottobre 2014, 19:17