Magistrati e politica: i dubbi | l'Anm chiede regole più severe - Live Sicilia

Magistrati e politica: i dubbi | l’Anm chiede regole più severe

Dopo il dibattito interno al Csm, il sindacato dei magistrati chiede "forti ed ulteriori limitazioni" per l'accesso a cariche politiche delle toghe. L'ultimo caso, con strascico di polemiche, è stato quello della Contrafatto. Ma i precedenti in Sicilia non mancano

PALERMO – E quasi all’alba del 2015 anche le toghe dell’Anm misero a fuoco che qualche problema nelle porte girevoli tra politica e magistratura c’è. In una nota che vola alto e non nomina esplicitamente la neoassessore a Energia e Rifiuti Vania Contrafatto ma che sembra per tempistica prendere le mosse dalla sua nomina  – che i retroscena raccontano abbia fatto parlare a lungo all’interno del Csm -, le giunte distrettuali dell’Anm di Palermo, Catania, Messina e Caltanissetta fanno sapere che “intendono avviare un confronto ed una seria riflessione sul tema della partecipazione dei magistrati alla politica attiva” e sottolineano che “permane una preoccupante disattenzione del legislatore sul tema che ha assunto rinnovata attualità e che ha rilevanza fondamentale per il prestigio della politica e della giustizia”.

Secondo la nota dell’Anm “il diritto individuale del magistrato di accedere alle cariche politiche non può ritenersi assoluto, ma deve essere coordinato con i principi costituzionali dell’autonomia e dell’indipendenza, che meritano tutela prioritaria e che impongono di evitare anche la mera possibilità di offuscamento dell’imparzialità del magistrato”.

Un tema particolarmente caldo in Sicilia, dove negli ultimi anni la politica ha attinto a mani basse dalla magistratura per incarichi di primissimo piano. Solo nella giunta regionale, negli ultimi anni la sfilata di magistrati è stata continua (e non sempre foriera di grandi successi). Da Agata Consoli, assessore con Cuffaro, a Giovanni Ilarda (con tanto di inciampo sull’assunzione della figlia), in giunta con Lombardo in quota Udc, a Caterina Chinnici e Massimo Russo, alfieri di Raffaele Lombardo prima e dopo l’inchiesta per mafia che coinvolse il governatore, fino a Nicolò Marino prima e Vania Contrafatto poi, ai Rifiuti, dove scandali e veleni si sono abbancati negli anni come tonnellate di immondizia.

Le giunte del sindacato delle toghe sollecitano “un intervento legislativo che disciplini le modalità di accesso dei magistrati alle funzioni di politica attiva ed introduca forti ed ulteriori limitazioni, quantomeno di tipo territoriale e funzionale, dell’elettorato passivo, dell’accesso diretto alle cariche amministrative e di governo, nonché del ritorno del magistrato all’esercizio delle funzioni giudiziarie, non escluso, in taluni casi, il divieto”.

“Va manifestato, quindi, – si legge nella nota – pieno apprezzamento per la recente iniziativa del Csm che ha deliberato l’apertura di una pratica sulla questione e va espresso l’auspicio di una sua rapida definizione, con l’approvazione di una stringente normativa secondaria in materia”.

Aspettando la scritture di nuove regole, però, le giunte dell’Anm ricordano che esistono già dei codici che sconsigliano ai giudici di esercitare l’attività politica dove hanno operato da magistrati. “Nell’attesa – concludono infatti i magistrati – va ribadito e rinnovato con forza l’invito ai magistrati di attenersi alla regola del codice etico, secondo cui ‘nel territorio dove esercita la funzione giudiziaria il magistrato evita di accettare candidature e di assumere incarichi politico-amministrativi negli enti locali'”.

Il dibattito sul tema aveva animato nei giorni scorsi il Csm chiamato a pronunciarsi proprio sull’ingresso nella terza giunta Crocetta di Vania Contrafatto, sostituto a Palermo. Il via libera è stato votato a maggioranza ma non sono mancate le osservazioni critiche. Tanto da far mettere nero su bianco, come ricordato anche nella nota dell’Anm, che “il Consiglio ritiene necessaria una nuova riflessione generale anche in relazione alla possibilità di una normativa secondaria che limiti, o comunque regolamenti, nell’interesse della giurisdizione, l’ingresso del magistrato in politica e, in particolare, il passaggio diretto dalla giurisdizione all’assunzione di incarichi nel territorio”.

Nel recente dibattito che si è svolto all’interno dell’organo di autogoverno della magistratura, un membro togato ebbe ad osservare: “Nel caso della ‘chiamata’ di un magistrato ad un incarico politico da svolgere in un territorio che rientra nell’ambito della sua giurisdizione, dato che le ‘chiamate’ sono, per loro natura, frutto di ‘collegamenti’ con la parte politica che ‘chiama’, collegamenti che, alla pari delle candidature nel caso delle elezioni, non nascono certo dall’oggi al domani, non può non sorgere il dubbio, nella larga maggioranza di coloro che risiedono nel territorio interessato, che il magistrato abbia orientato i propri comportamenti giudiziari al fine di ingraziarsi gli organi politici, i partiti e/o le cariche istituzionali, operanti sempre in quel territorio, che poi lo hanno ‘chiamato’”. Un dubbio che, argomentava il membro togato del Csm, non basta l’aspettativa a fugare.

A esprimere perplessità sull’ingresso in giunta di Vania Contrafatto era stato senza mezzi termini Leonardo Agueci, reggente della procura palermitana. Un’uscita che non era stata apprezzata dall’interessata, che aveva risposto in modo piccato. Il dibattito è aperto e non ha precedenti, almeno così rilevanti. E ciò malgrado il “problema” sussista ormai da tempo e abbia assunto dimensioni senza precedenti in seguito all’indebolimento della politica, che ha cercato in questi anni un accreditamento nel contributo di singoli magistrati.


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