"Mancava solo l’olio di ricino, poi la scena sarebbe stata completa” - Live Sicilia

“Mancava solo l’olio di ricino, poi la scena sarebbe stata completa”

Su Francesco De Gregori, Eugenia Roccella e il Salone del libro di Torino.
LO STRETTO IMMAGINARIO
di
4 min di lettura

“Non canterò mai più in pubblico. Stasera mancava solo l’olio di ricino, poi la scena sarebbe stata completa”. Era il 1976, subito dopo l’uscita dell’album Bufalo Bill, quando al Palalido di Milano, De Gregori subisce una contestazione aperta e senza remore da parte del suo stesso pubblico o, per essere più precisi, da una nutrita parte. Una contestazione che prima ostacolo’ lo svolgimento del concerto (Autonomia Operaia e Collettivi Studenteschi occuparono il palco e lessero un documento riguardante alcuni arresti di quei giorni) che però si fece, ma che alla sua conclusione costrinse il cantautore a uscire di nuovo sul palco e a subire un processo politico e culturale terribile.

Politico per ciò che riguardava una sua posizione ritenuta moderata, e culturale per i testi di quelle canzoni considerate poco di parte, tanto da accusarlo di strumentalizzare i temi cari alla sinistra. Qualcuno gridò, ad un certo punto, “In sala ci sono più fascisti che compagni”.

A leggere le cronache, ciò che è successo a Torino ad Eugenia Roccella, in confronto, è una giornata di sole al mare senza però un bar a portata di mano. Ma non per questo è meno indicativo sul senso di regresso che ormai coinvolge la maniera con cui stiamo insieme da umanamente diversi, da concorrenti civili, da avversari e se è il caso da nemici, dentro un contesto politico democratico. 

Perché il problema non sono le tesi, le posizioni, i progetti civili e culturali oggetto di una contestazione ( ognuno contesta o difende ciò in cui crede e a parti invertite agisce con gli stessi comportamenti che ha censurato in precedenza). Il problema è aver reso inconcepibile, non praticabile, non accettabile la violenza politica a bassa intensità, se non in base ad una presunta capacità di decidere cosa si può avversare e contestare e cosa no. 

Probabilmente, per capirci, gli stessi che hanno contestato la Roccella contesterebbero anche uno scrittore Russo autore di un volume sulla democrazia, ma in questo caso non riceverebbero alcuna reprimenda né dalla Destra di governo, ne dai giornali e nemmeno dalle forze dell’ordine. Voglio dire, in sostanza, che il diritto al dissenso è molto più ampio delle leggi che lo garantiscono, perché ha una sua fondazione pre legislativa. Antigone direbbe, che è legge degli Dei, non scritta ma eterna, e che nessuna norma pro tempore della città può limitare, senza cadere in una forma di autoritarismo mascherato.

Però bisogna saper vivere, interpretare e utilizzare il bagaglio, la cassetta degli attrezzi che contiene i vari strumenti di lotta e di contestazione. Si può immaginare che in una comunità in cui anni fa fu introdotta la regolamentazione sul diritto di sciopero, vi siano quelle consapevolezze, quelle capacità e quelle esperienze che possano permettere in maniera matura una pratica delle forme di contestazione?

Ovviamente no. Il regresso in questo senso è palese. Un regresso che non permette a chi riceve e a chi opera la contestazione di viverla come un fatto sostanziale della democrazia in cui i valori della compromissione personale e non delegata, sono il solo lievito di una matura convivenza. 

Il caso di Torino è una ennesima puntata del lento regredire, iniziato grosso modo nei giorni che ricordavo all’inizio con il caso De Gregori, e che sembra non aver toccato il fondo, in cui i protagonisti di una contestazione democratica, non sanno più interpretare la loro parte. 

In cui quello che conta è il merito, soggettivo delle questioni, e non la forma radicale con cui le si avversa o le si difende, che dovrebbe essere invece oggettiva e accettata, da qualsiasi parte, anche se questo non è semplice.

Me è la democrazia a non essere semplice, e ogni qual volta la si semplifica, con legislazioni e regolamenti, senza accorgersene la si avvia verso altre forme di convivenza. Ogni qual volta non si sa portare avanti uno scontro e non lo si sa accettare, una comunità democratica ne acquista in buone maniere ma ci perde nella sostanza non formale della democrazia, che è conflitto senza spargimento di sangue. 

Quando una situazione viene vissuta immaturamente, come ho provato a spiegare sopra, capita che hanno torto tutti i protagonisti e nessuno ha ragione. 

Quando gli uccellacci e gli uccellini accettano di convivere in una stessa voliera, che è la causa della loro prigionia, alla lunga non sapranno più cantate e sfidarsi in chi canta la canzone più giusta per la specie cui entrambi appartengono.

Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI