08 Aprile 2021, 18:10
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PALERMO – Pino Maniaci assolto dall’estorsione, condannato solo a un anno e mezzo per diffamazione. Cade l’accusa più grave per il giornalista di Telejato.
Al termine della requisitoria il pubblico ministero Amelia Luise aveva chiesto una pena pesantissima: 11 anni e mezzo di carcere. La sentenza è del giudice monocratico Giacomo Terranova.
“La procura non ci fa una bella figura di fronte alla sentenza che mi assolve per le estorsioni. Continuerò a fare il giornalista”, ha detto a caldo l’imputato.
La posizione di Maniaci era inizialmente confluita in un’inchiesta sfociata in un blitz antimafia (a Maniaci fu imposto il divieto di dimora nelle province di Palermo e Trapani), ma fu poi stralciata e separata dagli altri imputati per mafia.
L’estorsione, che a Maniaci veniva contestata senza alcun aggravante di mafia, sarebbe stata commessa, per un importo di 366 euro, ai danni degli ex sindaci di Borgetto e Partinico, Gioacchino De Luca e Salvatore Lo Biundo. Soldi che Maniaci avrebbe chiesto per non mandare in onda servizi contro gli amministratori nel suo telegiornale.
Maniaci inoltre avrebbe imposto a un assessore di Borgetto l’acquisto di duemila magliette col logo della sua emittente. Per tutte queste ipotesi è arrivata l’assoluzione con la formula “perché il fatto non sussiste”.
Le diffamazioni invece vedevano come parti lese il giornalista Michele Giuliano, Nunzio Quatrosi, Elisabetta Liparoto e il pittore Gaetano Porcasi. I legali di parte civile, gli avvocati Salvatore Citrano, Salvatore Bonnì e Salvatore Palazzolo esprimono apprezzamento per la decisione”.
Maniaci dovrà risarcire Liparoto con sette mila euro e gli altri con cinque mila euro ciascuno. Si tratta di una provvisionale, il danno complessivo sarà quantificato in sede civile. Su questo fronte i difensori di Maniaci presenteranno appello.
Il giornalista di Telejato ha sempre considerato i guai giudiziari legati alle sue inchieste contro il sistema di gestione dei beni sequestrati da parte della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, il cui presidente, Silvana Saguto, è stata condannata in primo grado e radiata dalla magistratura.
L’accusa era sostenuta in dibattimento dal pm Luise, dopo che Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia sono andati a ricoprire altri incarichi, rispettivamente alla Direzione nazionale antimafia e al Dap.
Nessuna estorsione, nessuna minaccia di utilizzare i servizi televisivi come arma contro i politici qualora non gli avessero dato i soldi. Nelle arringhe difensive, gli avvocati Antonio Ingroia e Bartolomeo Parrino, avevano attaccato la ricostruzione della Procura e parlato di “processo mediatico” e “senza prove”. “Pino Maniaci ha resistito alla corruzione dei sindaci che volevano ammorbidirlo, ma lui andava per la sua strada e si è cercato di punirlo – disse Ingroia -. C’è una manipolazione nel video in cui veniva ripreso.
Secondo Ingroia, si sarebbe trattato di “un’operazione per salvare il soldato Saguto. Perché la Saguto andava sempre in caserma e si informava di questa inchiesta?”.
L’avvocato Parrino aveva definito “esagerata e infondata” la richiesta di pena, aggiungendo che “il pubblico ministero nel corso della sua requisitoria si è rifatto alle contestazioni della fase delle indagini preliminari, mentre nel corso del processo tutte le persone presunte offese hanno negato di avere subito estorsioni da Maniaci. Una sola ha confermato l’episodio ma stravolgendo completamente il contesto e legando la presunta estorsione alla concessione di uno spazio per la replica”.
A proposito di Lo Biundo l’avvocato Parrino aveva precisato che lo stesso ex sindaco di Partinico “ha smentito che Maniaci gli avesse chiesto soldi” per ammorbidire i suoi telegiornali. Al contrario “l’attività di Pino Maniaci è proseguita come prima”, anche dopo che gli chiese l’assunzione della donna da lui segnalata, ma “si trattava di una problematica sociale”.
Da Parrino era partito un attacco durissimo alla Procura: “Di fronte alle affermazioni di Lo Biundo il pubblico ministero avrebbe dovuto fermarsi. La verità è che nel processo non c’è un’idea di prova, non ci sono riscontri neanche minimi al contenuto delle intercettazioni che vanno sempre riscontrate. Nel corso del processo è stato accertato che il video sulla presunta estorsione era stato artefatto e non corrispondeva alla realtà dei fatti”.
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08 Aprile 2021, 18:10
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