McGee chiama l’Orlandina: | “Mi piacerebbe tornare in Italia”

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14 Maggio 2015, 17:41

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CAPO D’ORLANDO (MESSINA) – Nel momento più duro della stagione, l’apporto di Tyrus McGee ad un’Orlandina lanciata verso la salvezza si è rivelato fondamentale. La guardia americana, giusta in Sicilia dopo l’addio di Austin Freeman, si è ritagliata un ruolo da sesto uomo di lusso che non ha di certo limitato la sua presenza offensiva. Un’ottima capacità di adattamento da parte del nativo di Stringtown, che al suo secondo anno in Europa continua a mostrare miglioramenti. La lontananza dagli Stati Uniti, però, spesso si fa sentire: “Mi mancano soprattutto la mia famiglia e i miei amici – ha ammesso McGee al sito ufficiale dell’Orlandina – . sono lontano da qui, è difficile quando hai qualche problema non avere nessuno con cui parlare”. Per il suo futuro, però, è ancora tutto da decidere: “Mi piacerebbe tornare in Italia, il cibo è fantastico, soprattutto quello siciliano, e le persone sono super”.

Braccia aperte verso Capo d’Orlando, dunque, capace di colpirlo in così poco tempo. Il calore di una piazza così piccola è stato determinante sin dal primo giorno in cui ha messo piede sul parquet del PalaFantozzi: “I tifosi sono grandi, la mia seconda partita qui contro Pesaro è stata incredibile. Ho fatto quel tiro alla fine, poi hanno fischiato fallo e abbiamo perso, i tifosi si sono fatti sentire. Ci hanno squalificato il campo, lì ho capito quanto loro tenessero a noi e come ci avrebbero aiutato”. Ambientarsi a Capo d’Orlando, inoltre, è stato molto più semplice che in altre piazze: “Non mi aspettavo di vivere così vicino alla spiaggia, potermi svegliare tutte le mattine e ammirare il panorama, rilassarmi e sgombrare la mente. Sono stati due mesi importanti per me, sono arrivato dalla Germania per giocare qui, ho conosciuto giocatori di grande esperienza, giocando in una lega dura e facendo quel che dovevo”.

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Con la canotta dell’Orlandina, McGee è diventato subito l’uomo dei canestri decisivi. Tre tiri pesanti col cronometro avviato verso lo scadere che hanno regalato all’Upea punti pesanti per la salvezza. Mai un buzzer beater, però, ma va bene lo stesso: “Ne ho fatto uno l’anno scorso e uno in Spagna al mio primo anno da professionista. Per adesso posso dire che quando conta fare canestro nei momenti importanti della partita ho un ottimo tre su tre, non ne ho ancora sbagliato uno. È tutto parte del gioco, ma sono queste le cose che mi piacciono”. Il tutto senza mai pensare troppo a cosa fare in campo: “Il tipo di gara a me non interessa tanto, io voglio sempre dare il massi quando inizia la partita, non mi concentro troppo sui movimenti che dovrò fare, mi vengono naturali. Mi preparo d’estate e mi esercito, poi ciò che succede in partita ne è la conseguenza. Prima della partita libero sempre la mia mente e cerco di non pensare a troppe cose. Mi concentro sulle istruzioni dello scouting report che il coach dà ad ognuno di noi, poi vado a giocare senza forzare nulla che non sia nelle mie capacità”.

Nonostante l’invidiabile score realizzativo, McGee rifiuta l’etichetta di “uomo dell’ultimo tiro”: “Non mi sento l’uomo dell’ultimo tiro o l’uomo vittoria. In quei momenti si dà la palla a chi è caldo o al miglior tiratore. Io non sento molto la pressione in quelle circostanze, vivo per affrontare questi momenti, è un dono che Dio mi ha dato. Sono nato per queste sensazioni. Non mi piace definirmi l’uomo dell’ultimo tiro, fa parte del basket. Cerco di vincere la partita per me stesso, i compagni e i tifosi”. Una mentalità che lo accompagna sin dai primi palleggi con una sfera arancione: “Ho iniziato a giocare quando ero piccolissimo, mio fratello giocava già e ha stimolato anche me a farlo. Quando ero piccolo tutti mi dicevano che avrei avuto un futuro brillante nel basket, ho continuato ad impegnarmi cercando di migliorare il dono che avevo nel tiro da fuori”. E chi, fra tutti, ha provato a dargli i maggiori insegnamenti, è stato il suo coach ad Iowa State: “Coach Fred Holberg è stato davvero un grande. Mi diceva sempre di far viaggiare la palla, che io ero un grande tiratore e dovevo tirare con fiducia. Parlo con lui almeno due volte al mese, adesso ha subito un’operazione chirurgica al cuore, ma presto starà bene. Prego per lui”.

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14 Maggio 2015, 17:41

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