“Mi vogliono detenuto a vita | Ho diritto a raccontare il carcere”

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11 Settembre 2018, 06:04

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PALERMO – “Rimango sempre turbato. Non so spiegarmi perché qualsiasi cosa io faccia riceva questa estenuante attenzione”. Così Totò Cuffaro commenta la polemica scatenata dalla sua partecipazione a un convegno sui detenuti in programma questo giovedì a Palazzo dei Normanni, nella sala intitolata a Piersanti Mattarella. Una circostanza che ha acceso la miccia dello scontro politico, con i 5 Stelle sulle barricate contro il presidente dell’Ars Gianfranco Micciché che ha autorizzato l’uso delle stanze di Palazzo dei Normanni per il convegno. Giancarlo Cancelleri e compagni sono andati giù duri, Micciché ha difeso le ragioni della sua scelta, con lui esponenti della sinistra come Claudio Fava e Antonello Cracolici. “Ho fatto il mio processo, accettando tutto con grande rispetto per la giustizia senza mai protestare – dice Cuffaro –. Ho scontato per intero la mia pena senza la benché minima agevolazione, non ho partecipato nemmeno al funerale di mio padre. Devo rimanere ‘detenuto per tutta la vita’? Lo diceva Victor Hugo, ma io credo di più nella nostra Costituzione: mi sono fatto 5 anni di carcere rieducativo e socializzante, credo di avere il diritto di vivere la mia vita”.

Il punto è la sua partecipazione a questo convegno. Può spiegarcene le ragioni?

“Ho preso un impegno con i miei amici detenuti, quello di fare sapere cosa si vive in carcere. Io lo so per averlo vissuto. E mi sento di poterlo spiegare. Sto tentando questo. Mi dispiace che ci sia qualcuno che pensi che io non abbia diritto di farlo in una sala dell’Assemblea regionale”.

Il punto sta proprio lì, nel luogo. Lei non trova delle ragioni di inopportunità?

“Ma perché, è un luogo in cui è vietato parlare di questo tema? Non si può parlare di carceri dentro il Parlamento regionale? Noi stiamo parlando di come vivono la situazione carceraria i figli che fanno visita ai genitori detenuti. Io l ‘ho vissuto e voglio portare il mio contributo. Se qualcuno vuole strumentalizzare il mio impegno mi dispiace. Il carcere mi ha insegnato a non giudicare nemmeno me stesso, figuriamoci se giudico gli altri. Rispetto la loro idea ma posso dire che non la condivido?”.

Claudio Fava ha difeso il suo diritto di parlare di carcere. Lo ha letto?

“Fava è una persona che non mi ha mai fatto sconti dal punto di vista politico ma credo che sia una persona ragionevole e che ha il coraggio di dire le cose che pensa. E non mi pare che ci sia nulla di incredibile nel dire che un ex detenuto come me possa portare un contributo a questa discussione”.

Quando nella scorsa legislatura si presentò una situazione analoga e il convegno non fu autorizzato la cosa la fece soffrire?

“Io ho un’idea della sofferenza particolare. Essendo stato in carcere so cos’è la sofferenza. Certo, non mi fece piacere allora e non mi fa piacere ora. Io sto portando avanti questo impegno da anni, coi miei libri, con gli incontri pubblici. Persino l’Ordine dei giornalisti mi chiamò per dare un contributo…”.

E anche lì scoppiò un caso con tante polemiche…

“No, un paio di giornalisti di una parte politica hanno sollevato un problema ma mi pare che l’ordine abbia risposto per le rime”.

In questo convegno si parlerà del tema dei figli dei detenuti. Lei che ricordi ha al proposito?

“Io lo dico con grande serenità: le lacrime dei miei figli e i loro occhi erano, quando li incontravo, non solo motivo per me di grande sofferenza e di grande emozione, ma egoisticamente mi davano la forza di andare avanti. Capivo che i miei figli mi amavano e mi aspettavano. Queste cose sono importanti per un detenuto, una speranza da coltivare. Quando non hai niente, quell’ora di colloquio alla settimana è tutto, ti dà la vita. So cosa vuol dir per miei compagni di della non avere mai fatto mai un’ora di colloquio. Di queste cose voglio parlare giovedì. Per esempio dei luoghi in cui un bambino di cinque anni possa incontrare il padre detenuto”.

Lei ha visto queste situazioni.

“Sì, certo, succede. C’erano famiglie che si disgregavano, detenuti che restavano soli. I cari di un detenuto vivono il carcere anche loro, quando pensano al loro caro che è senza libertà. Forse il carcere di chi sta fuori è più pesante di quello di chi sta dentro. Il nostro Paese deve essere padre di queste persone che stanno in carcere. E non bisogna essere cristiano per saperlo. Queste persone meritano di essere attenzionate per aiutarle a tornare a vivere ed essere utili per la società”.

Lei ha diffuso una nota per dire che chiederà la riabilitazione ma non per ricandidarsi. Non vorrebbe tornare a fare politica?

“La norma prevede la possibilità di chiedere la riabilitazione, tre anni dopo aver scontato la pena. Quando arriverà il mio turno mi avvarrò di questa possibilità per vedere se ci sono le condizioni. Ma mi serve per tornare a fare il medico, non per tornare in politica. Perché oggi il medico lo posso fare in Burundi, non qui dove abbiamo l’Ordine, che non esiste altrove”.

Vorrebbe tornare a esercitare?

“Devo pure campare, non ho più niente, non ho più neanche il vitalizio. Faccio l’agricoltore. Non ho interesse, non ho desiderio, non ho voglia di tornare a una politica attiva elettorale. Cosa diversa è la politica umanitaria che faccio e che continuerò a fare per i detenuti e per i bambini e i malati del Burundi. Il 15 ottobre faremo un gran gala per il Burundi al Teatro Massimo per raccogliere fondi per un ospedale”.

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11 Settembre 2018, 06:04

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