Natalìa, 13 anni, uccisa due volte| “Mi vergogno di essere italiana”

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05 Maggio 2019, 06:00

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PALERMO – “Sono delusa, amareggiata, mi vergogno di essere italiana”, dice Giovanna Scorsone. Chissà cosa avrebbe fatto nella vita sua sorella Natalìa. Quali sogni avrebbe realizzato e per quali avrebbe lottato affinché diventassero realtà. Avrebbe gioito per i successi e si sarebbe disperata per i fallimenti. L’esistenza di noi comunali mortali è fatta così. Il problema, irrimediabile, è quando si muore troppo presto. A tredici anni, qualora esistesse una scala di valori del dolore, fa ancora più male. Natalìa non è morta per cause naturali e per le quali si può tentare di trovare intima rassegnazione, ma folgorata mentre passeggiava per strada.

Natalìa, una notte di agosto del 2008, a Montemaggiore Belsito, piccolo paese in provincia di Palermo, toccò un palo dell’illuminazione pubblica e fu raggiunta da una scarica elettrica. Morì sul colpo. Un filo scoperto fece da ponte tra il palo e una saracinesca. Un esperto in aula ha riferito che sarebbe bastato montare un differenziale sul palo. Dodici euro, tanto costa, e la ragazzina non sarebbe morta.

Natalìa è morta per colpa di qualcuno. Solo che quel qualcuno non sarà mai condannato. La prescrizione ha spazzato via tutto, persino la morte di una bambina che non è mai diventata donna. Le colpe non si sono fermate al tragico evento, evitabile con lavori di messa in sicurezza, ma sono proseguite mortificando la sua memoria e la speranza dei parenti che hanno creduto invano nella giustizia.

Con la prescrizione la responsabilità va oltre il ruolo degli amministratori e dei tecnici della ditta privata che non misero in sicurezza l’impianto di illuminazione (quelli dell’Enel sono stati assolti nel merito), ricade sullo Stato incapace di emettere una sentenza in tempo utile. In primo grado il verdetto è arrivato dopo dieci anni (undici compreso il processo di appello) perché sono cambiati quattro giudici. Ciascuno ha avuto le proprie e legittime ragioni.

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Il dato di fatto è che il processo è sempre dovuto ricominciare da capo, o quasi. Ed è questo il tema al quale non si può e non si deve restare insensibili. Non ci si deve rassegnare ad una prescrizione che si avvicina, ogni giorno di più, fino a materializzarsi dinanzi a una Giustizia che mostra la sua impotenza.

“Siano stati abbandonati dalla giustizia – prosegue Giovanna -, ma anche il Comune come istituzione è rimasto totalmente indifferente. Mai un’iniziativa, neppure per ricordare Natalìa. Siamo stati noi familiari a volere una borsa di studio che porta il suo nome, assegnata ad uno studente dell’istituto comprensivo monsignor Arrigo”.

La giustizia in Italia non esiste per tante, troppe persone. Per Natalìa e per chi piangerà per sempre la sua assenza. Sarebbe troppo facile accodarsi a chi invoca l’imprescrittibilità dei reati, ma il garantismo non si mortifica con rigurgiti di giustizialismo. Non si può certo pretendere che un imputato resti sospeso in un processo senza fine, ma Natalìa doveva avere giustizia e non l’ha avuta.

Questa è la terribile realtà. Allora che sia davvero giunta l’ora di una riforma seria della giustizia, annunciata e sbandierata da decenni. Solo chiacchiere finora, a volte forcaiole e altre iper garantiste, nei giorni in cui si discute se un sottosegretario indagato per corruzione debba o meno dimettersi. E con le chiacchiere non si amministra la giustizia in nome del popolo italiano.

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05 Maggio 2019, 06:00

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