Navarria, “spazzino” dei Malpassotu | Il profilo del killer di Belpasso

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29 Novembre 2015, 06:02

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CATANIA – Negli anni Ottanta era lo “spazzino” del clan del “Malpassotu”. Colui che faceva sparire i cadaveri, insomma. Carmelo Aldo Navarria, tornato in carcere da qualche giorno con l’accusa di estorsione aggravata ai danni di un imprenditore edile di Belpasso, è stato un boss mafioso pericoloso e spietato. Il profilo criminale che si evince leggendo alcuni atti giudiziari del passato che lo riguardano, come la sentenza del processo Aria Pulita celebrato negli anni ’90, è a tratti agghiacciante.

Sono almeno quattro gli omicidi per cui è stato condannato in via definitiva, uno commesso nel 1982, uno nel 1984 (con sequestro di persona), uno nel 1986 e uno tre anni dopo.

Per un periodo è stato il braccio destro del capomafia Giuseppe Pulvirenti, si apprende da fonti investigative. E all’interno del clan – come detto – aveva un ruolo preciso: era addetto alla distruzione dei cadaveri. I giudici scrivevano che la “cava di Belpasso era diventata una sorta di campo di sterminio”. Navarria finisce in galera: 26 anni dietro le sbarre però non bastano per estirpare la sua ambizione criminale.

Già prima che il boss stava per uscire dal carcere i carabinieri capiscono che Navarria stava preparando il terreno per tornare in “auge” nell’ambiente malavitoso di Belpasso. I militari del Nucleo Investigativo improntano un’attenta attività di monitoraggio appena “lo spazzino” dei Malpassotu mette un piede fuori dalla galera: è il mese di luglio del 2014. Una volta libero inizia a formare il suo gruppo fidato di picciotti. E Navarria si rivolge ai due generi: Gianluca Presti e Antonino Prezzavento, i mariti delle figlie del boss. Il gruppetto criminale di allarga con parenti e “amici stretti” della famiglia Navarria.

I contatti con l’imprenditore da taglieggiare iniziano ad ottobre 2014. Per convincerlo a pagare il pizzo il killer dei Malpassotu ordina il pestaggio del costruttore. E’ stato proprio il referto medico a “incastrare” la vittima, che in un primo momento (dopo i fermi dei carabinieri) aveva smentito di essere minacciato. In un primo momento costringono l’imprenditore a stipulare un contratto di comodato d’uso di un terreno a favore di Navarria e Prezzavento. Poi per metterlo con le spalle al muro gli sottraggono le chiavi della sede dell’attività edile, che per alcune settimane rimane chiusa. A quel punto l’imprenditore inizia a pagare alla fine dello scorso anno: 1000 euro al mese, con un versamento ogni 15 giorni di 500 euro. Estortori e vittima finiscono sotto intercettazione, i carabinieri così scoprono che ad un certo punto il costruttore chiede di poter avere “uno sconto” sul pizzo, che viene ridotto a 600 euro. Ogni due settimane l’esattore ritira la rata da 300 euro. L’esattore fino a settembre era stato Gianluca Presti, poi è finito ai domiciliari per droga e il testimone è passato al cugino Presti Mirko. I carabinieri, ad un certo punto, poche settimane fa riescono a capire la data del “pagamento” e predispongono la trappola.

Nel cantiere viene installata una telecamera: il 20 novembre Mirko Presti viene ammanettato con le mani nel sacco. Nella notte i carabinieri predispongono i fermi per indiziato di delitto per le altre 7 persone tra cui il capo e boss Aldo Carmelo Navarria. Il 23 novembre il Gip Anna Maggiore ha convalidato i fermi e contestualmente emesso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Uno dei provvedimenti è stato eseguito a Brescia. Il Gip lombardo non ha convalidato il fermo nei confronti di Francesco Carmeci, ma ha disposto la reclusione in carcere.

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29 Novembre 2015, 06:02

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