Zingaretti, l’importanza | di chiamarsi Montalbano

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05 Marzo 2019, 15:01

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Ora magari smetteranno di considerarlo soltanto il fratello di Luca, cioè del commissario Montalbano, una delle prime ricerche Google che compaiono al clic. Anche perché Nicola Zingaretti – oltre ad avere una sua solida biografia – con Luca, quando veste i panni del poliziotto più famoso d’Italia (non ditelo a Matteo Salvini, però) non c’azzecca niente, a partire dall’icona che entrambi riflettono sul pubblico.

Uno (Nicola) coltiva un’apparenza felpata e placida, quasi domestica. Legge i suoi discorsi, inforcando un paio di occhiali da salotto. Sorride anche quando magari non sarebbe necessario. Ricorda lo zio che tanti vorrebbero, quello che, ogni domenica, porta i pasticcini a pranzo. L’altro (Luca) è prestante e scattante come il ruolo impone – si parla appunto di cinema -. Sorride raramente, se non ne ha voglia. Più che lo zio di tutti, è una fotocopia del partner idealizzato che si lascia sognare tra pagina e sospiri.

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Acqua e fuoco. L’altro è l’eroe romantico partorito dalla fantasia di un genio. L’uno è un conduttore lento di buoni sentimenti che i gazebo hanno premiato, scegliendo, appunto, bonarietà e pacatezza per porre fine alla diaspora piddina.

Una cosa, però, è vera. Nicola ha preso un botto di voti proprio nei luoghi portati alla ribalta da Luca in versione commissario: quasi il novanta per cento a Ragusa, lì dove il mito va in scena. Allora, viene il dubbio che l’importanza del cognome Montalbano qualcosina significhi perfino nella realtà. E chissà che il segretario del Pd, per rafforzarsi ulteriormente, non decida di nominare suo secondo l’agente Agatino Catarella. O qualcuno che gli somiglia moltissimo.

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05 Marzo 2019, 15:01

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