Nicosia, Occhionero e la mafia| La risata di troppo dell’onorevole

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10 Novembre 2019, 05:25

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PALERMO – Non sono le ipotesi di reato, che al momento non vengono contestate, ad imporre una riflessione. Basta la superficialità, anche se alla fine solo di ciò si trattasse, con cui la politica, in generale, e l’onorevole Giuseppina Occhionero, in particolare, si sono approcciati a temi delicati.

Il ruolo parlamentare e il contrasto a Cosa Nostra richiedono rigore. Ed invece l’inchiesta della Dda di Palermo farebbe emergere un’imbarazzante superficialità. Il condizionale è d’obbligo, oggi più che mai, non per un garantismo di maniera, ma perché dell’inchiesta che ha portato in carcere Antonello Nicosia, ex assistente di  Occhionero, resta da chiarire proprio la parte che tira in ballo la deputata. La donna, passata da Liberi e Uguali a Italia Viva, al momento non è indagata.

Le parole del giudice per le indagini preliminari di Sciacca, Alberto Davico, che ha convalidato il fermo di Nicosia e di altre tre persone, tracciano l’ambito in cui si muoveranno le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Occhionero si faceva accompagnare da Nicosia (o forse accadeva il contrario) nelle visite in carcere ai boss senza aver fatto alcun controllo sul suo passato (l’esponente dei Radicali aveva una precedente condanna per traffico di droga a 10 anni e sei mesi).

Un fatto che “risulta indicativo in via alternativa – scrive il gip – di un grave difetto di consapevolezza nell’ambito istituzionale ovvero di una connivenza che vedeva taluno favorire contatti impropri tra mafiosi per ragioni non dichiarate e comunque in questa sede non valutabili”.

Occhionero non ha fatto alcun controllo sui precedenti penali di Nicosia. E ha candidamente ammesso, nel corso della testimonianza resa ai pm, che in Parlamento funziona così. Agli atti dell’inchiesta ci sono diverse intercettazioni dell’onorevole, tutte registrate casualmente e prima che gli investigatori staccassero le microspie una volta scoperta l’esistenza di un rapporto stabile fra Nicosia e il deputato.

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Ci sono dei passaggi, che possono anche apparire poco significativi dal punto di vista penale, ma che denotano meglio di altri la superficialità di cui sopra.

Santo Sacco, ex politico condannato per mafia, in carcere aveva ricevuto dal Nicosia una lettera scritta su carta intestata della Camera dei deputati. Lettera che, come espressamente previsto dalla legge, non è sottoposta a controllo. Nicosia immaginava la scena e la raccontava al deputato. Le descriveva Sacco che si gonfiava il petto per quella intestazione. Era molto più di una lettera, era una dimostrazione di forza e prestigio davanti ai compagni di cella.

“Gli è piaciuta?”, chiedeva Occhionero riferendosi alla lettera. E Nicosia rispondeva: “Ma certo la carta intestata della Camera gli potevo mandare una cosa così? Mi sono fatto dare un blocchetto di carta intestata Camera dei Deputati”.

“Bravo”, si complimentava la deputata. “Con la firma sotto perché ho firmato tutte e due gli ho messo onorevole e lui questa cosa la porterà in giro come una fidanzata, sezione sezione ‘Io sono Santo Sacco io sono Santo Sacco anche in galera. Ed il primo ministro è sempre a Castelvetrano non si scherza”, aggiungeva ridendo Nicosia facendo probabilmente riferimento al “primo ministro” di Cosa Nostra. E cioè a Matteo Messina Denaro. Un sorriso contagioso: “A posto”, diceva l’onorevole eletto in Molise, pure lei ridendo. Senza contare che quanto emerso dall’inchiesta rischia di minare l’essenza del dibattito su argomenti seri, quali i diritti dei detenuti.    

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10 Novembre 2019, 05:25

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