09 Maggio 2021, 05:02
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CATANIA – Per Francesco Cossiga, i giudici alla Rosario Livatino erano soltanto dei “ragazzini” a cui non andava “affidata nemmeno l’amministrazione di una casa a un piano con una sola finestra”. Una polemica vecchia. Sbagliata e ingiusta. Che la storia ha lavato nel sangue. Ucciso il 21 settembre 1990 dalla Stidda a Canicattì, la messa per la beatificazione di Livatino sarà celebrata oggi nella cattedrale di Agrigento, dopo un lungo processo canonico. Una vita per la giustizia, una vita per la fede. Papa Giovanni Paolo II, oggi santo della Chiesa Cattolica, rimase profondamente colpito dalla sua vicenda personale, tant’è che – dopo l’incontro riservato con i genitori – fu talmente scosso da esplodere in quel “Convertitevi!” urlato con disperazione tra le rovine della Valle dei Templi all’indirizzo dei mafiosi.
Quella di Livatino è una vicenda da conoscere. Da studiare. Da meditare. Tra i magistrati c’è chi lo fa da tempo, senza aspettare che il suo nome sia innalzato agli onori degli altari. “In Rosario, la giustizia, ossia lo scopo a cui tende la professione del magistrato, è sempre il bene: la riparazione dei danni sociali, il recupero della sana relazione tra gli uomini, la tutela dei deboli, il rispetto delle persone”. A scriverlo è un altro togato siciliano: Sebastiano Ardita, membro del Consiglio superiore della magistratura e saggista esperto del fenomeno mafioso. Parole che introducono l’appena pubblicato “Non chiamatelo ragazzino” a firma del giornalista catanese Marco Pappalardo per i tipi delle Paoline.
Rosario Livatino fu allo stesso tempo un vero cristiano e un giudice irreprensibile. Un seguace, allo stesso tempo, della giustizia e della misericordia. Un paradosso, forse. Che tuttavia può essere disincagliato se osservato dalla visuale della santità. “Come si spiegano questi due profili?” – si chiede Ardita. “Si spiegano – scrive – perché sono in realtà aspetti che si completano nella figura di un giudice pieno di umanità, che conosce le difficoltà di attuare una giustizia troppo spesso forte con i deboli e debole con i forti”.
Continua il componente del Csm: “Ed ecco dunque che Rosario, nella sua difesa dei deboli, sa che occorre essere determinato ed esigente contro i fenomeni criminali, ma non smetterà mai di manifestare la sua umanità verso qualunque persona, vittima o autore di reato, che si trovi al cospetto. Umanità verso tutti e rigore nell’interesse dello Stato sono dunque la stessa cosa, perché tendono al nobile fine di una legalità vera che sappia ricercare le vere radici del male, fino ad assumere su di sé i pericoli, fino alla morte”. La sua esperienza di vita – spiega ancora Sebastiano Ardita – “è per chiunque svolga questa professione un richiamo verso la retta via di una giustizia autentica, vera, generosa che egli mise davanti a tutto, anche se stesso”.
Dal giudice ai ragazzini, quelli veri. Il libro di Pappalardo è infatti dedicato esclusivamente a loro. Uno strumento dalla forte presa pedagogica: utile dal catechismo, alla scuola, passando dalla libertà delle letture personali. (Sotto questo profilo l’autore è un esperto sul campo, sic). Pagine che parlano di Rosario Livatino a partire dalla sua città, dal vissuto concreto, dalla formazione. Perché sì: si può vivere fin da ragazzi un’esistenza piena, ricca di speranza e interesse per il bene di tutti. Una vita semplice, ma allo stesso tempo eroica.
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09 Maggio 2021, 05:02