Cronaca

Omicidio Passafiume: il presunto killer a giudizio dopo 28 anni

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20 Gennaio 2021, 12:34

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AGRIGENTO – Ucciso il giorno dell’anniversario di matrimonio perché non si è mai piegato alle regole di Cosa Nostra agrigentina. A distanza di quasi trent’anni dal delitto dell’imprenditore agrigentino Diego Passafiume, ucciso il 22 agosto 1993 a Cianciana, viene rinviato a giudizio il presunto killer. Si tratta di Filippo Sciara, ritenuto membro della famiglia mafiosa di Siculiana, già coinvolto nelle indagini del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, condannato per mafia e per altri omicidi durante la guerra tra cosche che insanguinò la provincia di Agrigento. La prima udienza si celebrerà il prossimo 25 marzo davanti la Corte d’Assise di Agrigento. Diego Passafiume era finito nel mirino di Cosa Nostra per alcuni sub-appalti che si era aggiudicato regolarmente nel territorio della bassa Quisquina. Dopo una serie di intimidazioni che non ebbero alcun effetto sperato, Cosa Nostra si organizzò e pianificò l’omicidio: il 22 agosto 1993 un commando affiancò la vettura di Passafiume, che si trovava in compagnia della moglie, della suocera e delle nipotine, esplodendo tre colpi di fucile al suo indirizzo. Nell’agguato rimasero ferite in modo lieve una nipote e la suocera. La moglie della vittima riconobbe uno degli uomini del commando. La vera svolta investigativa arrivò però venticinque anni più tardi quando i carabinieri del Reparto Operativo di Agrigento, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, strinsero il cerchio sulla figura di Sciara anche grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Pasquale Salemi, Maurizio Di Gati e Giuseppe Salvatore Vaccaro secondo i quali è emerso che l’omicidio fu commesso nel contesto mafioso territoriale, in quanto Diego Passafiume era ritenuto un imprenditore “scomodo”, che faceva troppa concorrenza alle dinamiche mafiose. “Diego Passafiume – dice Giuseppe Ciminnisi, coordinatore nazionale dei familiari vittime di mafia dell’associazione Cittadini contro le mafie e la corruzione – non era un ‘amico’ dei mafiosi locali. Era un uomo che amava la sua famiglia, il suo lavoro, e che con coraggio non ha accettato le imposizioni di uomini arroganti e spregiudicati. Il suo sacrificio non deve essere dimenticato e, insieme a quello di tanti altri imprenditori, deve diventare un simbolo di una Sicilia che si ribella all’arroganza e alla vigliaccheria del potere mafioso”. Il giudice ha ammesso come parte civile i figli, la moglie e i fratelli della vittima nonché il comune di Cianciana e l’associazione Cittadini contro le mafie e la corruzione.

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20 Gennaio 2021, 12:34

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