On/off: senza sudore | Noi, presenti e assenti

di

12 Gennaio 2020, 13:50

6 min di lettura

Entriamo nel mondo virtuale in maniera tanto immediata da dimenticare di avere accesso in un universo sconfinato. Possiamo navigare dal nostro letto, dalla metropolitana o dal bagno mentre pensiamo, guardandoci allo specchio, alla comparsa di una ruga nuova o ad una sera qualsiasi in cui poteva andare meglio.

Eppure, siamo connessi anche con un mal di schiena invalidante o una caviglia rotta concedendoci, oltre ogni ragionevolezza, allo sguardo degli altri o curiosando e valutando, invisibili e presenti, l’offerta vastissima del mondo globale.

Possiamo, perfino, dire di essere in un luogo postando o inviando una foto rubata mentre, invero, giaciamo sul letto di un ospedale o, ancora, avere il coraggio di mostrare con prontezza l’immagine del vecchio padre, andato via appena la sera prima, presentando la morte attraverso un contemporaneo lutto collettivo.

Godiamo di un’onnipotenza di comunicazione come di una giovane e spontanea deità rimanendo, tuttavia, sinceri perché fra il pensiero e la sua esposizione manca un’attività riflessiva: basta un clic, un movimento impercettibile delle dita.

Accediamo a tutto e consentiamo, con ugual piacere, che gli altri conoscano il nostro mondo senza una necessaria corrispondenza fra il momento reale e quello immaginato, desiderato e, perfino, falsificato.

Lasciamo continuamente tracce della nostra umanità e ne abbiamo, sempre più spesso, un autentico bisogno.

Pochi resistono al palcoscenico, insieme pubblico e privato, dell’olimpo virtuale in cui si può godere del dono dell’ubiquità, un tempo privilegio dei mistici e, senza ascesi, diventa possibile entrare, anche per futili motivi, nella vita dell’altro che, a sua volta, ha usci diuturnamente aperti.

Allora perché non considerare positivo questo nuovo traguardo in cui la connessione crea infinite possibilità calibrate alle immediate esigenze dell’uomo?

La risposta è semplice: questa facilità, annullando la fatica del corpo, ha asciugato il sudore dell’anima.

Non ci impegniamo, non spendiamo più nulla per raggiungere l’altro, neppure la voce: la comunicazione è divenuta afona, imprevedibile e statica.

Siamo emoticon non più emozioni, immagini di un corpo deificato dalla velocità.

Pensiamo all’invio della figura di un cuore, ormai tanto diffusa nella conversazione comune. Un bel cuore rosso e pulsante che, certamente, lusinga chi lo riceve. Possiamo inviarlo anche se un cardiologo ci ha appena avvertiti del cattivo funzionamento di una valvola del nostro.

Tuttavia, pur di esprimere un sentire, ci serviamo di una rappresentazione errata perché non esiste un’emoticon che esprima un cuore compromesso. Quindi ne inviamo uno perfetto e gradevole capace di suggerire, pur senza sfumature emotive, una suggestione o un desiderio, mentre il nostro, di cui non sappiamo mostrare il fiato corto, rimane celato.

Ecco dunque la trappola: se dovessimo utilizzare realmente il nostro cuore affaticato, probabilmente, scopriremmo di non avere l’energia di fare un solo passo e saremmo costretti a valutare la fatica che richiede il cammino, ivi compreso il beneficio di eliminare, attraverso il sudore, le tossine della solitudine.

In ugual modo, possiamo augurare il buongiorno senza avere guardato il cielo, sorridere mentre un mal di denti ci impedisce di muovere le labbra e possiamo, infine, ritagliare con precisione chirurgica ciò che ci interessa mostrare per raggiungere l’altro, in ogni modo, a qualsiasi ora, con ogni richiamo di immagine e parole.

Così facendo, nell’offrire una verosimile realtà parallela, rendiamo l’anima zoppa a favore di un terzo corpo comodo che, nella rappresentazione virtuale, muta a nostro piacimento.

Si compie in noi una trinità dell’essere in cui la divinità più esigente è quella immaginaria, nata non dal sangue dall’affaticato cuore che ogni uomo possiede, ma da un cuore sterile e duttile che ci illude di poter fare tutto. Ad esempio, possiamo credere di fare una carezza con le mani sporche percependole pulite pur senza avere toccato un sapone o inviare un abbraccio senza sentirne mai il calore o, peggio, annichilire l’altro con il potere di un nuovo silenzio, figlio primogenito di questa contemporanea trinità.

Siamo on/off: presenti e assenti contemporaneamente, incapaci di portare la nostra unità nel luogo prescelto o necessario.

Il sacrificio è incalcolabile: siamo disponibili e, al contempo, intoccabili a favore di una sicurezza irreale.

L’altro non c’è se non appaiono le spunte azzurre su WhatsApp, se non è presente con buona costanza sui social, se non riesce a rappresentare se stesso con una sintesi efficace.

Articoli Correlati

Mettiamo in atto un meccanismo di seduzione capace di catturare l’altro in un qualsivoglia desiderio che confermi la nostra capacità di splendere.

E dove, io chiedo, l’abisso e il mistero della vita? Dove la sconfitta di un abito lacerato che non sappiamo rammendare, dove il cattivo alito del mattino, dove i brutti sogni della tristezza?

Per questo motivo l’arte non potrà diventare virtuale perché in essa si raccoglie il fulgore della fragilità.

Non esisterà mai un’emoticon in grado di suggerire le suggestioni dell’anima .

Cosa comunichiamo quando, seppure con tanta buona volontà emotiva, un quadro o una poesia viene postato su un social? Nulla perché nulla s’intravede della carne dell’artista, né della sua vita intera raccolta in un’opera che, invero, assai spesso, è faticosa, affatto celestiale e affascinante e capace di sfuggire ad ogni benevolenza o lusinga.

I social sarebbero un cimitero se l’anima fosse presente. Sarebbe orrendo entrarvi se si parlasse l’autentico linguaggio dell’esistere: apprenderemmo, non senza fastidio, tutto ciò che realmente mal sopportiamo anche in coloro che amiamo.

Non compiamo alcun gesto quando postiamo qualcosa o inviamo messaggi a coloro di cui desideriamo l’attenzione perché, in questi non luoghi, veniamo masticati come un hot dog o ingeriti come una coca cola.

C.G. Jung nella sua ‘Struttura dell’inconscio’ suggerisce che l’uomo ha una facoltà che per gli intenti collettivi è utilissima, e dannosissima per l’individuazione: quella di imitare.

L’espansione di questa qualità attraverso la comunicazione virtuale ha socialmente ridotto a lumicino la facoltà dell’individuazione, ossia la possibilità di addensare un pensiero in un principio concretamente condiviso che potrebbe ancora chiamarsi ideale.

L’imitazione veloce raggruppa consensi anche su temi fondamentali che non vengono mai coagulati dalla fornace del pensiero colto che, al contrario, si nutre della ricerca anche di un solo uomo, successivamente offerta alla collettività nella possibilità di condivisione e confronto.

Da questo le derive populiste in cui, anche qui, senza sudore di mente, sembra possibile aderire, di volta in volta, ad un appello di qualsivoglia natura purché si stia insieme subito, ci si riconosca in un’identità facile, entusiasta e mutevole alle brevi necessità del presente.

Nella comunicazione virtuale manca l’individuazione del futuro a favore di un presente folgorante, destrutturato e rumoroso.

In queste albe sfuggenti dell’anima si è decapitato il valore del silenzio nella sua doppia qualità di necessità e di scelta come c’insegna Sartre.

Non tace più nulla né dentro, né fuori di noi mentre le parole che andrebbero dette sono assai poche e dovrebbero essere scelte con cura.

Risulta allora indispensabile una nuova frontiera dell’incontro.

Torniamo a sudare per comprendere dove è possibile andare o rimanere, cosa possiamo toccare o raggiungere realmente perché la dannazione, oggi, è abbigliata dai veli del vuoto.

Riuniamoci nella fatica dell’incontro, torniamo all’antico limite della parola, alla possibilità del fallimento, alla gentilezza del sorriso.

Per esserci bisogna saper essere anche assenti, sofferenti, incapaci. Accettare l’altro non come immagine ma come poesia. Tornare ad essere mortali, insignificanti, perfino fastidiosi.

Riconoscendoci nella solitudine dell’altro, spesso muto e presente, torneremo ad amarci.

Pubblicato il

12 Gennaio 2020, 13:50

Condividi sui social