La denuncia come ultima risorsa | Se Orlando somiglia a Crocetta

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16 Ottobre 2017, 18:06

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Da qualche tempo, ormai, si verifica una sorta di strana possessione politica. Leoluca Orlando parla, declama, fiammeggia. Tu lo ascolti e ti viene in mente Crocetta: cioè la supremazia della retorica mirabilmente coniugata col massimo dell’inutilità. Una sovrapposizione. Uno sdoppiamento come nella stevensoniana vicenda del dottor Jekyll e di mister Hyde. Un’apparecchiata palermocentrica in marmellata gelese, tutta Dalai Lama, legalità e sviluppo. Non è che Luca sia stato mai un sobrio notaio dell’esistente, il suo linguaggio ha sempre attinto all’ultimo vocabolario dei superlativi, aggiornatissimo, in circolazione. Ma almeno, il Professore sapeva snocciolare l’osso della concretezza nella polpa dell’immaginario. Oggi, invece, trionfa la linea di Saro. L’inutile retorica.

Appena ieri, per esempio, il sindaco di Palermo ha tuonato sulla questione delle persone migranti, degli sbarchi, dei traffici e delle stragi: “Presenterò una denuncia alla Procura di Palermo nei confronti di questo ignobile mercato che riguarda gli stati europei e l’Unione europea, poi saranno i magistrati a decidere qual è l’organo giudiziario competente”. E se l’argomento non fosse serio, anzi tragico, muoverebbe al sorriso questa escalation contro Bruxelles che sembrerebbe anticipare una formale dichiarazione di guerra. Manderemo la cavalleria panormitana degli ‘gnuri all’assalto della Grand Place? Che poi – divagando e scherzando – uno se l’immagina la scena. Luca che piomba a Palazzo di giustizia, circonfuso dal flash dei fotografi. Gli altissimi dignitari di Bruxelles e Strasburgo che, tremebondi, erigono palizzate difensive. Un giudice che esce dalla sua stanza e sbuffa: “Ma come? Ancora Crocetta c’è?”. E resta di stucco…

Era, appunto, Rosario Crocetta il parolaio per definizione. Era lui che con l’antimafia delle vacuità tentava di far dimenticare la sua incapacità di governo. Era lui che organizzava, con una apposita conferenza stampa incardinata sui problemi più insolubili e rarefatti, il nascondimento delle sconfitte subite. Era ancora lui che correva in Procura, con i calzari alati di giustizia preventiva, pur di condurre la sua lotta contro anonime ma certissime forze del male. Un comiziante, non un un presidente: ed è già un sollievo scriverne al passato, allo sgocciolio del suo regno.

E veniamo a Orlando: quali speranze avrebbe una siffatta denuncia di approdare a un risultato vero, pur non sottovalutando l’importanza degli eventi? Nessuna. Cosa potrebbe provocare, se non gli occhi alzati al cielo del magistrato che dovrà occuparsene? Niente. Il denunciante lo sa, ma non ha rinunciato a tratteggiare la sua coreografia simbolica e massimalista, pur di mischiare le carte. Un faticoso stratagemma di sopravvivenza mediatica, una boccata d’aria fresca, mentre l’orizzonte si annuvola.

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Infatti, quelle carte – da qualche tempo – non dicono bene al sindaco. La vittoria alle comunali è stata l’ultima notizia felice. Da allora, il Professore si è atteggiato a leader, a statista, a conducator di una gioiosa macchina da guerra imperniata sulle regionali. Perché accontentarsi di essere semplicemente un amministratore, se Renzi ti chiama per avere consigli, se detieni il marketing del civismo politico, il drappeggio più recente di una classe dirigente stantia?

Eppure, da lì in poi, la caduta è stata netta. Il no di Grasso, indisponibile alla contesa presidenziale, nonostante i desideri del suo amico primo cittadino. Il ripiego sul rettore Micari, ammalato dalle sirene dell’Orlandismo, in attesa di una sconfitta quasi sicura. Il pasticcio delle liste che ha costretto lo stesso Orlando a non presentarsi direttamente in campo con i suoi cavalleggeri, ma a coabitare con Crocetta nella lista del candidato di centrosinistra. A corredo, una città allo sbando, con i pianoforti all’alba e la munnizza tutto il giorno. Logico che l’immagine del Leoluca vincitor si sia appannata alquanto. Ed ecco il guizzo crocettiano: la denuncia in Procura, fine a sé stessa. L’ammuina che nulla risolve e che peggiora la situazione, essendo il trucco di scena più che evidente.

Nessuno avrebbe mai potuto immaginare una tale convergenza dei distanti. Orlando e Crocetta non ci azzeccano niente l’uno con l’altro, fosse soltanto perché il primo ha studiato ad Heidelberg. Ma la storia letteraria dei doppi lo insegna: nello specchio, talvolta, c’è l’ombra di un riflesso indesiderato e tutte le parole di Luca, adesso, sembrano incatenate alla linea di Saro. Resta da stabilire – giochino emozionante – chi sia Jekyll e chi Hyde.

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16 Ottobre 2017, 18:06

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