06 Settembre 2011, 08:27
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La sera in cui Luca Orlando accusò il maresciallo Lombardo d’essere un colluso io c’ero. Ero lì, in studio. La mia professione di “venditore di pensieri” mi aveva già portato a collaborare con personaggi di ogni tipo, Orlando compreso e per molti anni; ma anche Gianfranco Miccichè, anch’egli quella sera ospite di Michele Santoro. I due sedevano accanto ed io subito dietro. Mi divertiva l’idea che i due, con i quali avevo diviso confidenze ed emozioni, fossero antagonisti. Entrambi, seppure nella diversità, recavano in una qualche misura qualche goccia del mio lavoro. Si era nella seconda parte della trasmissione e aveva la parola Miccichè. Come a tutti coloro che si esibivano in pubblico, anche a lui avevo suggerito un metodo per evitare di essere interrotto da un antagonista durante un intervento. Occorreva ripetere l’ultima parola del concetto che si stava esprimendo prima dell’interruzione, ripeterla finché l’altro non si fosse stancato e, comunque, con la garanzia di due risultati: il pubblico non avrebbe potuto seguire il senso delle parole dell’antagonista e, quando questi avesse finalmente taciuto, si sarebbe ripreso il filo logico del proprio pensiero.
Infatti sull’interruzione di Orlando, Micciché seguitò a ripetere per tre o quattro volte la parola su cui era stato interrotto. Poi, però, tacque, lasciò il campo all’altro. “Per buona educazione”, mi disse quando uscimmo dallo studio tv, “per non apparire arrogante” ed aveva una qualche ragione. Orlando, ormai libero di parlare, si lanciò nella sua accusa pesantissima contro il maresciallo Lombardo. Santoro, con la professionalità che gli conosciamo, chiese al sindaco di Terrasini, Manlio Mele, di confermare o smentire e Mele, in collegamento diretto dalla piazza di quel paese, confermò le accuse. Ma a Roma, nello studio della Rai, durante il collegamento con Terrasini accadde un fatto che nessun telespettatore poté vedere. Entrò, fermandosi ai margini, un collaboratore di Santoro che, ruotando la mano socchiusa attorno all’orecchio, gli fece intendere che c’era qualcuno in linea telefonica che chiedeva di intervenire in diretta. Santoro mostrò di non avere interesse e con un gesto inequivocabile rispose al collaboratore di lasciar perdere.
Ma quest’ultimo insistette, rinnovò il gesto. Io mi stupii, Santoro era stato chiaro ed era il dominus. Ancora una volta il giornalista ripeté il gesto di diniego: vai via. Ebbene, il collaboratore non obbedì ed entrò in studio, avvicinò Santoro e gli fece leggere un biglietto che, ovviamente, conteneva il nome di colui che chiedeva di entrare in diretta telefonica. Santoro non ci pensò due volte, fece cenno di no ed allontanò lo zelante collaboratore.
Dopo qualche tempo apprendemmo che a chiedere di parlare in difesa del maresciallo Lombardo e contro Orlando era stato il generale comandante dell’Arma, Federici. Ma a Santoro non era parso opportuno. Certo, la Storia non si fa con i “se”, ma nessuno può togliermi dalla testa che se il generale Federici avesse potuto riequilibrare quella sera la reputazione oltraggiata del maresciallo Lombardo forse tanti fatti sarebbero andati diversamente. Ma questo argomento meriterebbe un’analisi a parte.
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06 Settembre 2011, 08:27