14 Aprile 2015, 13:00
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PALERMO – Lo schema ormai è definito. Dopo settimane di trame, indiscrezioni incontrollate, conciliaboli e ipotesi più o meno fantasiose. Alla fine, il Pd siciliano sembra aver preso le misure a Palazzo d’Orleans, impostando la questione su binari ben definiti. La trasferta romana di ieri di quattro big del partito (il segretario Fausto Raciti, il sottosegretario Davide Faraone, Antonello Cracolici e il capogruppo Baldo Gucciardi) che hanno incontrato Graziano Delrio incassando il via libera del governo Renzi sul bilancio si inquadra perfettamente nello schema. Che è quello, ormai avviato da tempo, di un commissariamento “dolce” di Rosario Crocetta, che rimane regnante ma sulla carta, e che vede la linea del suo governo sempre più dettata dall’asse tra il Nazareno e il partito siciliano.
L’idea è quella di non staccare la spina, evitando passaggi traumatici dei quali toccherebbe pagare il conto ai siciliani. Evitare insomma default e altri disastri, incollando i cocci dei conti regionali e provando a riavviare la strada, fin qui fallimentare, delle riforme. Portare a casa qualche risultato, insomma, e intestarne il merito al Pd, in vista del dopo-Crocetta, che certo prima o poi dovrà arrivare, in un tempo che non è opportuno fissare adesso. L’asse tra il segretario Raciti e il plenipotenziario renziano Faraone si è molto rinsaldato nelle ultime settimane. Il partito siciliano con la sponda del governo nazionale (o viceversa) tenta di dettare l’agenda a Crocetta, non perdendo occasione per delegittimarlo con passaggi espliciti e simbolici. Proprio come il summit di ieri con Delrio, senza il governatore. Summit che ha portato, oltre al via libera sul bilancio, anche alla visita odierna del ministro per un sopralluogo sul viadotto del disastro.
Lo schema è sempre più chiaro. Per primo al governatore. Che è costretto a subirlo suo malgrado. Da mesi ormai, prima con la nascita del suo governo bis, poi, soprattutto, con la genesi della giunta ter, Crocetta ha capito di dover scendere a patti con quel partito che nella sua prima fase a Palazzo d’Orleans aveva spesso bersagliato, interpretando la parte del battitore libero, del re solitario che non si fa imbrigliare dalle correnti. Quel re oggi governa sempre meno.
I conti nelle mani di Baccei
Un re che ha commissariato tutto, per mesi. Dalle aziende sanitarie alle Province, fino agli enti regionali (l’Esa e Sicilia e-Servizi solo per fare due esempi). Ma che ha finito per essere “commissariato” a sua volta. Da Roma. Un commissariamento ampio, quasi totale. Che poggia soprattutto sul pilastro portante del potere: i soldi. E che si articola sulla doppia “potestà” nei confronti dell’Isola: due governi per governare la Sicilia.
I conti, dicevamo. L’arrivo di Alessandro Baccei a Palermo ha tolto dalle mani del governatore la gestione della spesa. Un mandato ampio, quello dell’economista vicino a Davide Faraone, che nella stesura della manovra finanziaria è intervenuto nei capitoli di spesa di tutti gli assessorati regionali. Una finanziaria nella quale sono stati previsti tagli di uffici e servizi. Ma nello stesso, tempo, la creazione di un nuovo dipartimento all’Economia: dovrà occuparsi della gestione della spesa e dei tagli. Ci penserà, insomma, direttamente Baccei. Uno da una parte, uno dall’altra, l’assessore e il governatore. Una frattura costantemente smentita a parole e riaffermata dai fatti. Come nel caso della scelta del presidente della Regione di impugnare parte della legge di stabilità del governo Renzi. Una decisione presa durante una giunta di governo alla quale Baccei non ha preso parte perché impegnato a Roma proprio per far quadrare i conti dell’Isola.
L’isolamento nel partito
A Roma, dove il governatore non sembra più godere di canali preferenziali. Messo all’angolo dalla presenza del siciliano Davide Faraone, prima nella direzione nazionale, poi nel ruolo di viceministro. Ai margini persino del suo partito, Crocetta. Che non ha certamente fatto molto per avvicinare il Pd alla sua esperienza di governo. Basti ricordare le due “sparate” di fronte ai vertici nazionali del partito. La prima, durante una dirazione nazionale, quando chiese espressamente di non candidare Caterina Chinnici alle elezioni europee perché “compromessa” dalla partecipazione al governo di Lombardo (negli stessi minuti, però, paradossalmente, proponeva la candidatura di uno dei massimi sponsor di quell’esperienza, cioè Beppe Lumia). E l’ultima apparizione, in commissione antimafia, quando tirò le orecchie al suo partito, troppo “blando” nella lotta alla mafia. In quell’occasione, la stilettata contro quel “sottosegretario” (Faraone, appunto) che dal palco della Leopolda sicula accusò il governatore “di fare troppe denunce: non basta questo per governare”. Un isolamento costante. E a volte facilitato dalle prese di posizione dello stesso governatore. Capace sì di unire, finalmente, il Pd. Ma contro di lui.
E in effetti, al di là del caso Baccei, il “Crocetta ter” altro non è che l’esempio più chiaro di come i rapporti di forza tra il governatore e il partito si siano chiaramente spostati dalla parte del Pd. Che ha inserito in giunta assessori scelti quasi autonomamente. Al posto, in qualche caso, di figure che Crocetta considerava quasi il simbolo della propria rivoluzione, a cominciare dall’assessore alla Formazione Nelli Scilabra, sacrificata sull’altare della politica.
La Sanità “sotto tutela”
E aria di commissariamento si è respirata anche nel settore incandescente della Sanità siciliana. Erano le ore tremende che seguirono alla morte della piccola Nicole. E le parole del ministro alla Salute Beatrice Lorenzin furono chiare: l’accusa nei confronti della Sicilia era quella di non aver rispettato i Livelli essenziali di assistenza. Parole che spinsero l’assessore Lucia Borsellino all’annuncio (poi rientrato) delle dimissioni. Ma il ministro non si è fermato lì: “Ho previsto – disse durante il Question time alla Camera – un’azione forte di Agenas (un’Agenzia per la valutazione della Sanità che fa capo al Ministero, ndr), aggiuntiva di monitoraggio e di affiancamento per le regioni, soprattutto per le regioni che sono sotto tutela, scusatemi se le definisco così, e dove si registra, come in questo caso, una mancanza dei livelli essenziali di assistenza adeguati alla normativa e a quelli che sono poi i fabbisogni dei cittadini”. La Sicilia è una “regione sotto tutela”, secondo il ministro, che aggiunse in quell’occasione: “Se non interviene la regione, interviene il Ministero della salute perché tragedie come quelle della piccola Nicole non abbiano più a ripetersi in nessuna parte del nostro Paese”. Se non è un commissarimento, insomma, poco ci manca.
Depuratori, Province e rifiuti
E un commissariamento vero e proprio è arrivato sul tema dei depuratori. Una scelta che Crocetta ha persino salutato con entusiasmo, affermando che a essere commissariati, in realtà, sono i Comuni. E a proposito di enti locali, il governatore ha finito per essere “commissariato” persino sulla riforma delle Province. Impallinata dalla sua maggioranza quando era già stata stravolta al punto tale da non ritrovare più le novità più importanti annunciate dal governatore (a cominciare dalla possibilità dei comuni di aderire, liberamente appunto, ai Liberi Consorzi). E ancora, le visite in Sicilia di Matteo Renzie e di Graziano Delrio, nell’ultimo anno, hanno incalzato il governo sul tema dei Fondi europei. Una “ingerenza” che i renziani di Sicilia vorrebbero anche più “formale”, con la creazione di una cabina di regia sui Fondi europei. Commissariato, insomma. Ovunque. O quasi. Perché, paradosso nel paradosso, all’unica richiesta di commissariamento avanzata da Crocetta, il governo Renzi ha risposto “picche”: il tema è quello dei rifiuti e delle discariche. Almeno lì, Crocetta voleva “mani libere”. E anche in quel caso, l’altro governo, quello romano, ha detto: “Non se ne parla nemmeno”.
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