27 Novembre 2020, 07:01
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CATANIA – Oltre 2.000 posti letto persi. 1.350 nella sola città di Catania. La pandemia, come la squagliata della neve, ha fatto emergere le grosse falle del sistema sanitario, non solo regionale, con gravissime ripercussioni sul suo stesso funzionamento. In particolare oggi che l’infezione da coronavirus richiederebbe la massima efficienza. I numeri, spietati, li ha forniti il professor Nino Pavone, primario emerito dell’ospedale Garibaldi, a Bruno Vespa, durante una puntata della trasmissione Porta a Porta.
Negli ultimi decenni, i posti letto nella provincia di Catania si sarebbero ridotti esattamente della metà, secondo Pavone. “Su 4000 posti letto ne sono stati persi 2060 – dice il professor Pavone. Questa è stata la conseguenza dei piani di rientro imposti dal Governo, nati nel 2005 e attuati nel 2007 – continua. Le regioni, costrette dal Ministero della Salute e dell’Economia, hanno imposto alle aziende di ripianare i disavanzi di bilancio e questa procedura ha costretto a molti tagli, depotenziando gli ospedali fino, in alcuni casi, a riconvertirli o a chiuderli”.
Da Nord a Sud, la scure dei tagli non ha risparmiato nessun ospedale. “Ma la tragedia è stata a Catania città, dove sono stati chiusi tanti ospedali” – sottolinea Pavone. A partire dall’Ascoli-Tomaselli, e poi ancora San Luigi, Ferrarrotto, Vittorio Emanuele, Santa Marta, Santo Bambino. L’ultimo poco più di un anno fa. “Negli ultimi decenni, i posti persi di tutti gli ospedali riconvertiti o dismessi sono 1350 – continua – al netto di quelli stati assorbiti dal San Marco e dal Cannizzaro”.
Il danno effettuato dai tagli, ammortizzati in periodi “normali, è esploso con l’emergenza coronavirus. A mancare, oggi, non sarebbero tanto i posti letto nei reparti Covid, quanto piuttosto gli altri. Quelli per le patologie medio gravi. “I posti letto erano insufficienti anche prima del coronavirus – spiega Pavone – ma il Covid è entrato nei reparti, buttando fuori le altre patologie e aggravando la situazione. Ha annullato i progressi fatti nell’organizzazione degli ospedali”.
Riattivare gli ospedali dismessi di recente. Il professor Pavone si aggiunge al coro dei tanti, che, sin dallo scoppio dell’emergenza sanitaria, si erano appellati alla Regione affinché ripristinasse alcune strutture recentemente abbandonate. Il Ferrarotto, il Vittorio Emanuele e il Santo Bambino tra tutti, gli ultimi nosocomi svuotati. E affinché non vi fossero ospedali misti, come richiesto da numerosi sindaci della provincia di Catania all’assessore Razza. “Se si fosse programmato il ripristino degli ospedali dismessi – continua il primario emerito – si sarebbe rallentato l’impatto sui reparti per le patologie medio gravi. Immaginiamoci poi dove si rivolge il pensiero di un paziente che attende di essere visitato, che viene messo in astanteria e al quale viene comunicato di non poter essere ricoverato per mancanza di posti letto. Ecco, immaginiamoci dove si possa rivolgere il pensiero: ai posti liberi degli ospedali vicini ma chiusi”.
Oltre al ripristino delle strutture dismesse, sono due le strade per affrontare la situazione, secondo Nino Pavone. Puntare sulla medicina territoriale, riempendola di significato pratico, e creare centri di eccellenza.
“Con i piani di rientro dovuti a esigenze economiche, si è ridotta l’assistenza – evidenzia Pavone. Sarebbe stato necessario compensare, potenziando la medicina territoriale per effettuare quelle attività diagnostiche e clinico strumentali che occupano le risorse degli ospedali. Le stesse potrebbero essere effettuate in tutte le strutture extra ospedaliere del servizio sanitario nazionale”. Accertamenti o screening che si potrebbero dunque fare altrove, allentando la pressione sulle strutture ospedaliere destinate all’assistenza.
Un centro di eccellenza per il Sud e il territorio. Questo un punto cardine, per Pavone. “La Sicilia ha necessità di centri di eccellenza – dice: l’aumento dei posti letto è una necessità, ma lo è anche la specializzazione. L’interesse primario è che ci siano due centri al Sud: uno per l’infanzia, grande come il Gaslini o il Bambini Gesù. Il secondo dedicato alle malattie infettive. Catania aveva un importante centro di eccellenza per le malattie infettive, che era l’Ascoli Tomaselli – evidenzia Pavone. Lo si potrebbe oggi, in un programma di breve e medio termine, programmare il ripristino della struttura da destinare allo stesso scopo, con un polo dedicato all’assistenza, che potrebbe essere il Tomaselli, e uno dedicato esclusivamente alla ricerca, l’Ascoli”.
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27 Novembre 2020, 07:01