30 Gennaio 2023, 11:52
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Chiedi chi era Vito Chimenti e tutti ti risponderanno con sonanti parole d’amore. Ne avvertirai la dolcezza del suono, prima che il per sempre del significato. Avete dato un’occhiata a Facebook? Scrive Marco Feo: “Un pezzo della mia adolescenza, dei miei diciotto anni, se ne va all’improvviso. Mi hai fatto sognare, mi hai inorgoglito del mio essere uomo del Sud, mi hai fatto amare ancora di più e per sempre gli unici colori da amare, il Rosa e il Nero. La tua “Bicicletta”, i tuoi Gol, il tuo essere uomo di sport resteranno sempre con me. E in quel 1979 tu, Vitogol, la Coppa Italia contro l’ultima vera Juve, l’hai vinta. Grazie Vito, Ciao Vito” . Scrive Vicè Acquadicielo: “Ciao Vito sono sicuro che lassù insieme a Turuzzo, mio padre, Federico e Giuseppe, stai parlando di quella partita e magari gli fai vedere una bicicletta con una palla fatta con la polvere di stelle”. E’ la memoria, ancora, di una finale iniquamente persa.
Scrive Melissa: “Non riesco a crederci.. ho pensato ad una bufala e ho chiamato tua moglie perché volevo avvisarti che qualcuno stava facendo uno scherzo di cattivo gusto. E invece era vero. Lei mi ha detto che il tuo desiderio si era avverato… Saresti andato via da questa terra sul tuo amato campo di calcio”. Scrive Mara: “Ti ho voluto bene come si vuole bene ad un fratello. Legato ai nostri colori, grande bandiera di un calcio che mi dicevi non esisteva più… Sei stato l’attaccante che ha inventato la ‘bicicletta’.. Il modo con cui saltavi gli avversari che provavano a fermare la corsa verso la porta… E chi se lo può scordare?”. Ed è soltanto un piccolo frammento dell’amore che scorre.
E il maestro Benvenuto Caminiti ha scritto: “Erano perle di fantasia ed estro. Un amore grande, quello che tutti noi tifosi avremo sempre per te e che tu hai ricambiato ampiamente, venendoci spesso a trovare, una delle ultime volte in occasione della partita delle Vecchie Glorie, quando, al boato di tutto il pubblico, gli occhi rivolti verso gli spalti dicesti: ‘Che bella cosa ho conquistato la gente di Palermo!’. E poi, commosso, aggiungesti: ‘A Palermo non puoi, non devi sbagliare, c’è un popolo che ama la sua squadra e tu non puoi e non devi deluderlo!’. E, nel dirlo, i tuoi occhi s’inondarono di lacrime: era il pianto di un figlio adottivo di questa terra, di uno di noi, innamorato marcio dei colori rosanero…”.
Chiedi chi era Vito Chimenti, al suo corpo massiccio, alla sua faccia con i segni del tempo, inconcepibile per il calcio di plastica, liftato, frullato e sterilizzato di oggi. E quel volto e quel corpaccione racconteranno di un’altra epoca gloriosa. Quando c’erano soltanto lo stadio e la radiolina. E, se non andavi allo stadio, stavi con l’orecchio appeso alla radiolina. Alla fine della partita, che si fosse vinto o perso, avresti trascorso due ore di attesa snervante, beatificata dalla sigla di Novantesimo minuto. Ma i gol volavano nella voce e nei sogni sul muro di una stanza, prima di diventare immagine.
Chiedi chi era Vitogol, chiedilo a lui stesso. Oggi, risponderebbe come ieri: “Eravamo persone più che personaggi a disposizione dell’amore e dell’attenzione di tutti. Eravamo attaccatissimi alla maglia e alla gente e la piazza ci ricambiava. Erano davvero tempi diversi. Adesso, purtroppo, è cambiato molto. Ci sono i social, si chiacchiera troppo e c’è meno semplicità di ieri. Io amo Palermo, non ho mai smesso di amarla. Ho il cuore rosanero”.
Ogni campione, che era anche un uomo perbene, esce dal campo sul serio, prima o poi. E porta con sé migliaia di braccia tese, di rimpianti, di esultanze, di scusi chi ha fatto palo. Ma se chiedi al vento chi era Vito Chimenti, qualcuno, sempre e per sempre, ti risponderà. (Roberto Puglisi)
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30 Gennaio 2023, 11:52