Palermo, dalla condanna alla "vita corretta": il percorso di Cuffaro

Dalla condanna alla nuova vita: il percorso di Totò Cuffaro

La sua vicenda giudiziaria iniziò nel novembre 2003

PALERMO – Totò Cuffaro, dunque, è pienamente riabilitato. Viene meno l”interdizione dai pubblici uffici. La decisione del Tribunale di Sorveglianza chiude una lunga parentesi giudiziaria per l’ex governatore siciliano.

La storia inizia il 5 novembre 2003 con la scoperta di “talpe” negli uffici della Procura di Palermo. La rete di spionaggio, che fa capo al ras della sanità privata Michele Aiello, prestanome di Bernardo Provenzano, si regge su due insospettabili, Giorgio Riolo sottufficiale del Ros dei carabinieri e Giuseppe Ciuro della Dia.

Il rinvio a giudizio

Il 2 novembre 2004 Cuffaro viene rinviato a giudizio per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. Sua è, così sostiene l’accusa che reggerà in tutti i gradi di giudizio, la soffiata che dopo altri passaggi arriva alle orecchie del boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro, medico all’ospedale Civico. C’è una microspia a casa sua.

La condanna e i cannoli

Il 18 gennaio 2008 Cuffaro viene condannato in primo grado a 5 anni di reclusione. I pubblici ministeri sono Maurizio de Lucia (attuale procuratore di Palermo) e Michele Prestipino. Cade l’aggravante del favoreggiamento della mafia. Cuffaro, che intanto è stato rieletto nel 2006 presidente della Regione, annuncia che non si dimetterà. Fatale, però, sarà un’immagine che lo ritrae con un vassoio di cannoli siciliani. Lui nega, e sempre negherà, che stesse festeggiando, ma la polemica lo travolge e il 26 gennaio 2008 si dimette.

Pena più severa in appello

Il 23 gennaio 2010 la Corte d’appello di Palermo riconosce l’aggravante del favoreggiamento di Cosa Nostra e condanna Cuffaro a 7 anni. La condanna diventa definitiva il 22 gennaio 2011. Cuffaro attende il verdetto della Cassazione in preghiera, poi si presenta nel carcere di Rebibbia. Ai cronisti dice: “Sono un uomo delle istituzioni e ho rispetto della magistratura. Affronterò la pena com’è giusto che sia”.

Ne bis in idem e scarcerazione

Nel giugno 2012 Cuffaro si toglie il peso di una nuova possibile condanna. Erano stati chiesti 13 anni di carcere. Viene assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Ne bis in idem: i reati che gli vengono contestati sono uguali a quelli cui è stato condannato e non si può processare una persona due volte per gli stessi fatti.

Nel dicembre 2015 Cuffaro torna libero, dopo essere rimasto a Rebibbia 4 anni e 11 mesi: “È bello respirare la libertà. Oggi posso dire di aver superato il carcere. La mafia? È una cosa che fa schifo. Lo continuo a dire anche perché quando l’ho detto qualcuno ci ha riso sopra, ma la mafia fa schifo. Nella mia coscienza sono innocente. Sono andato a sbattere contro la mafia”.

Riabilitazione

Nell’ottobre 2012 Totò Cuffaro ottiene la riabilitazione, ma non viene meno la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Interdizione che gli preclude, non solo di coprire incarichi istituzionali e di politica attiva, dunque di candidarsi fino al 2019, ma anche di esercitate la professione di medico.

Il provvedimento del collegio presieduto da Luisa Leone è un importante riconoscimento, ma il legale dell’ex governatore siciliano, l’avvocato Marcello Montalbano, assieme al collega Claudio Livecchi, annuncia ricorso per ottenere una riabilitazione totale.

La difesa ritiene, infatti, che anche la pena dell’interdizione perpetua dei pubblici uffici debba venire meno. Nel caso di Cuffaro è stata applicata la legge “Spazzacorrotti” del 2019. Una errata interpretazione, secondo l’avvocato Montalbano, poiché al momento in cui erano maturati i tempi per la riabilitazione di Cuffaro la legge non era ancora entrata in vigore. Dunque la sua applicazione sarebbe retroattiva. Ed è il cuore del nuovo provvedimento, presieduto dallo stesso giudice Leone.

“Modello di vita corretto”

Una riabilitazione comunque piena quella che viene riconosciuta a Cuffaro. L’ex presidente della Regione, oggi leader della Nuova Dc, ha pagato tutte le spese processuali e per il mantenimento in carcere. Ha sborsato i 150 mila euro per il danno di immagine subito dalla Regione e sancito dalla Corte dei Conti.

In carcere ha tenuto “una condotta regolare e partecipativa”. Nessun illecito o comportamento irregolare è emerso nella sua condotta successiva alla scarcerazione. Il Tribunale segnala “una pluralità di elementi sintomatici del recupero del soggetto ad un corretto modello di vita”.

Lo dimostrano le sue parole (“La mafia fa schifo”), il volontariato per i detenuti, la raccolta fondi tramite una onlus in favore della popolazione del Burundi, i ricavi dei romanzi donati in beneficenza, l’impegno politico nella Dc, le donazioni in favore del “Centro padre Nostro”, fondato don Pino Puglisi.

Cuffaro ha dato piena prova di avere cambiato vita, ora anche l’interdizione dai pubblici uffici è venuta meno.


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