13 Ottobre 2024, 07:00
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PALERMO- Il ricordo di Delio Rossi a Palermo è quello che i tifosi rosanero riservano a pochissimi personaggi del mondo del calcio passati dal capoluogo siciliano. E quasi in maniera paradossale, questo affetto nei confronti dell’allenatore di Rimini è rimasto anche dopo “quella” finale persa il 29 maggio 2011.
In occasione della sosta del campionato di Serie B per le nazionali, l’ex tecnico del Palermo ha risposto ad alcune domande di LiveSicilia. Con la cordialità che lo contraddistingue, Delio Rossi ha parlato della squadra rosanero guidata da Alessio Dionisi.
Cosa ne pensa della scelta di Alessio Dionisi per la panchina del Palermo e del direttore sportivo che invece è Morgan De Sanctis?
“Dionisi non lo conosco. Ho visto qualcosa quando è stato ad Empoli e a Sassuolo. Morgan invece è stato un altro mio portiere che ho fatto esordire al Pescara quindi sono legato anche a lui. Solo che lo conosco in veste di portiere, non da dirigente. Però per la capacità transitiva, considerato che io sono affezionato a tutti i miei giocatori, compreso lui, per me è bravo anche se non ho gli elementi per dirlo”.
Il sistema di gioco di Dionisi è il 4-3-3. Può dirmi secondo lei quali sono le peculiarità e i punti deboli di questo modulo?
“Nel 4-3-3 i giocatori secondo me fondamentali sono il centravanti e il centromediano metodista. Perché sono coloro che devono riuscire a mettere in funzioni le catene, cioè se la palla arriva da destra deve passare da uno di loro per andare a sinistra e viceversa. E poi dipende dai giocatori esterni d’attacco, in un 4-3-3 come lo intendo io devi avere due esterni che abbiano nelle gambe 50/60 metri, non solo i 10/15 metri. Non mi piacciono i giocatori che in questo sistema di gioco magari sono trequartisti che giocano sugli esterni. Altrimenti diventa un 4-3-2-1″.
Dopo la sconfitta contro la Salernitana sono arrivati anche dei fischi. C’è il rischio che il supporto dei tifosi diventi una pressione?
“Non credo, anche perché se uno non vuole le pressioni non deve fare questo mestiere, deve andare a lavorare in banca, non fare il calciatore o l’allenatore. Oppure non sceglie le categorie superiori dove ci sono i professionisti, anche perché lo dice la parola stessa. Il professionismo deve essere dei più bravi e i più bravi devono saper reggere anche le pressioni, sennò significa che hanno sbagliato mestiere”.
Qual è la chiave per trovare continuità in campionato?
“La continuità è nel lavoro quotidiano, nel mettersi i tappi nelle orecchie per non stare ad ascoltare nessuno se sei convinto delle tue idee e nel cercare di isolare la squadra per portarla dalla tua parte tramite il lavoro. E soprattutto non lasciarsi condizionare o da una bella vittoria o da una sconfitta in casa. Serve il giusto equilibrio. Da questo punto di vista Palermo non è Napoli, cioè non è una squadra campana o romana, che vive d’eccessi. Se Palermo ha fischiato significa che la partita è stata molto deludente. Difficile che a Palermo fischino“.
Brunori-Henry, centravanti con caratteristiche diverse. Come si valorizza questa sorta di dualismo?
“Li conosco così, per dare un giudizio sui calciatori dovrei allenarli. Per caratteristiche mi sembra che Brunori sia un giocatore importante per la Serie B, soprattutto è il capitano. Henry lo conosco un po’ meno. Forse fa meglio quella fase di cui parlavo prima, magari è più funzionale per il 4-3-3. Ma secondo me il giocatore più essenziale è Brunori. A quel punto io, personalmente, se ho due bravi devo trovare un modo per farli giocare tutti e due sotto questo punto di vista. Quindi posso anche pensare di cambiare il sistema di gioco”.
Dunque?
“Parto da un presupposto, c’è una fase programmatica in cui si pensa di voler giocare in una certa maniera. Poi mi accorgo che in campo ho delle difficoltà o che le valutazioni che ho fatto non sono state giuste e devo avere anche l’umiltà e la capacità di partire dalle eccellenze. Se i giocatori migliori che ho sono cinque in particolare, devo trovare un sistema di gioco in cui riesco a farli giocare. Se ho due centravanti bravi devo trovare la maniera di giocare con due centravanti, questo è il mio discorso“.
Secondo lei quali sono le pretendenti alla promozione quest’anno?
“La Serie B è un campionato lungo e anche sfuggente. L’importante in serie cadetta è non esaltarsi in certi momenti e non abbattersi in altri. A marzo, per me, la classifica conta e i campionati si vincono in quel periodo. Sulle pretendenti, è chiaro che chi è retrocesso dalla Serie A, per una questione anche di budget, ha più disponibilità”.
Poi?
“Poi ci sono le solite, quelle storiche. Palermo dovrebbe essere appunto tra queste. Qui anche se giochi con la Primavera devi cercare di andare in Serie A. Ci sono squadre che anche se giocano in Serie B, per tradizione o per cultura, pur giocando ipoteticamente con la Primavera, non possono fare un campionato di metà classifica. Palermo è una di queste”.
Palermo a quota 11 punti dopo 8 giornate. Può puntare alla Serie A questa squadra?
“C’è ancora possibilità. Anche perché c’è un’anomalia nel nostro campionato: non avendo soldi, noi completiamo le squadre alla 3ª o 4ª giornata di campionato. Molti sono stranieri: il tempo di integrarsi, capire la lingua e tutto il resto, passa un altro mese. Dare un giudizio tranciante dopo otto giornate mi sembra esagerato“.
Un invito?
“Bisogna avere un po’ più di pazienza secondo me, magari dopo 10-12 giornate già cominciano a vedersi i valori. Poi magari ti accorgi che ti manca qualcuno o hai la possibilità di prendere uno o due giocatori che ti rendono la rosa più omogenea a gennaio. Se stai lì in quelle posizioni diventa importante, poi da marzo in avanti chi ha lavorato meglio si vede”.
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