08 Aprile 2024, 18:21
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Palermo era diventata uno snodo fondamentale per lo smercio di cocaina importata dall’Argentina e di hashish dal Marocco. Diventano definitive le condanne al processo nato dal blitz “Green Finger” del 2019. La squadra mobile smantellò due bande di trafficanti. Le indagini erano coordinate dall’allora procuratore aggiunto Salvatore De Luca e dal sostituto Francesca Dessì.
Nelle scorse settimane la Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi, dunque pene definitive, per Tommaso Lo Verso (18 anni, 9 giorni e 10 mesi), Leonardo Alfano (un anno in continuazione con una precedente condanna), Vincenzo Di Maio (6 anni), Pasquale Di Salvo (4 anni e 4 mesi), Salvatore Drago Ferrante (20 anni), Mohamed Essarrar (10 anni, 5 mesi e 10 giorni), Agostino Giuffrè (18 an ni e 8 mesi), Alessandro Longo (2 anni e 20 giorni), Andrea Militello (4 anni), Roberto Pasca (3 anni) e Emiliano Pasimovich (8 anni e 8 mesi).
Annullata con rinvio la sentenza nei confronti di Giuseppe Giallombardo (8 anni, difeso dall’avvocato Raffaele Bonsignore) per rideterminare la pena. Annulla sena rinvio rivedendo al ribasso la pena inflitta a Giuseppe Bronte (10 anni, 11 mesi e 10 di reclusione), difeso dall’avvocato Rosanna Vella.
Il personaggio principale è Salvatore Drago Ferrante, a cui era riuscito il piano fallito da tanti boss della nuova mafia: attivare un canale diretto con i grossisti sudamericani, affrancandosi dall’intermediazione dei calabresi e dei campani. Il suo è un cognome storico. La prima volta lo arrestarono nel 2011. Da Bagheria era partito per Milano e da qui alla volta di Parigi. Dall’Hotel Hilton della capitale francese era andato via con un passaporto falso con il quale era stato registrato nella lista dei passeggeri in partenza per Amsterdam. Nella città olandese aveva affidato un pacchetto ad un insospettabile elettricista siciliano con il compito di trasportarlo in Sicilia.
Si diedero appuntamento a Messina. Da qui con due macchina si spostarono a Baucina, in provincia di Palermo. I carabinieri li bloccarono appena usciti da una villa. In macchina c’era un carico di cocaina. Tre anni dopo si scoprì che dietro c’era un piano molto più complesso. Drago Ferrante, legato al capomafia di Brancaccio Giuseppe Guttadauro, faceva parte dell’organizzazione che reclutava gente incensurata e piena di debiti affidandogli valigie cariche di cocaina purissima da trasportare da Buenos Aires e a Palermo.
Alla vigilia della condanna, nel 2005, di Drago Ferrante, che attese la sentenza a piede libero, non c’era più traccia. Lo arrestarono dopo pochi mesi di latitanza ad una fermata della metropolitana di Milano. E così era rimasto in carcere fino al 2015, quando gli sono stati concessi gli arresti domiciliari. Una volta fuori dal carcere, rientrato a Milano, era tornato ad occuparsi di droga ad altro livello.
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08 Aprile 2024, 18:21