22 Settembre 2024, 09:14
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PALERMO – “Mi ha insegnato anche a lottare con tutte le mie forze per superare gli ostacoli, così come era stato per lui”. È un’espressione di Mattia, figlio di Totò Schillaci, l’artefice indimenticato delle ‘notti magiche’ di Italia ‘90. Certo, Mattia ha pure definito meraviglioso quel periodo per il suo papà e per l’Italia dal punto di vista calcistico, ma mi ha colpito il riferimento all’umiltà, all’insegnamento paterno di lottare con tutte le forze per superare le difficoltà della vita.
Difficoltà della vita che a volte, noi siciliani ne sappiamo qualcosa, non hanno nulla a che spartire con il destino crudele essendo piuttosto il prodotto della cattiva politica e di imperdonabili omissioni dei governanti. È incredibile, noi palermitani e meridionali in particolare riusciamo a scoprirci uniti intorno a personaggi positivi quando si tratta di campioni del calcio, dello sport. Forse ci aiutano a rimuovere motivi di tensione esistenziale, forse di eroi non ne scorgiamo facilmente altrove.
Non è un caso che in alcune fasi storiche e attuali, con al centro conflitti internazionali, regimi poco inclini al rispetto dei diritti abbiano cercato di strumentalizzare lo sport ai propri fini per alimentare odio e fobie, per distruggere uno dei pochi ‘luoghi’ del vivere umano in cui non esistono distinzioni di colore della pelle, di condizioni sociali ed economiche, di appartenenza a questa o a quella nazione in guerra.
L’Italia ha reso il giusto onore a Totò, un figlio del popolo, e Palermo ha sfilato, di presenza o con il pensiero, dinanzi alla bara di un ragazzo palermitano che ha cercato il riscatto sociale dando il massimo in ciò che sapeva fare, con talento e passione.
La Palermo che ha sfilato allo stadio ‘Barbera’, dove è stata allestita la camera ardente, è quella che ha voluto ringraziare chi le ha regalato un sogno e che vuole continuare a sognare nonostante la costante minaccia di incubi. La Palermo che ha sfilato è ancora una città divisa, separata, che fatica a ritrovare la memoria collettiva dopo il mafioso ‘Sacco’ degli anni ‘60 e ‘70, perpetrato da Cosa nostra con la perversa complicità di pezzi della borghesia rampante cittadina, che ne ha sventrato il cuore storico erigendo, al contempo, ghetti chiusi, incomunicabili.
È una città con quartieri che molti palermitani non hanno mai visitato nella vita, colpa dei trasporti precari e parziali, di discriminazioni latenti, paure inculcate, diffidenze ingiustificate. Schillaci era nato al Cep, una delle periferie dolenti di Palermo insieme ad altre periferie e borgate marinare dimenticate.
Purtroppo, sebbene la politica e le istituzioni non abbiano perso l’occasione di esibirsi dinanzi al corpo logorato dalla malattia di Totò stride il contrasto tra le parole contrite dei politici, nel tentativo di ritrovare una sintonia perduta con il popolo, e la realtà difficilmente accettabile lì dove si sperimenta emarginazione, dimenticanza, indifferenza.
Ha ragione il direttore Roberto Puglisi quando invita la politica a riflettere sull’ipocrisia, magari involontaria, dei messaggi rituali di cordoglio se posti al cospetto del troppo non compiuto negli immensi angoli bui di una metropoli che si affanna ad esprimere il bello di sé stessa per ritrovarsi invece, sovente, ostaggio del peggio che vi alberga.
Nel percorso personale e umano di Schillaci, al pari di migliaia di giovani palermitani e siciliani realizzatisi con il duro impegno quotidiano, le istituzioni cittadine e regionali c’entrano ben poco colpevoli di un assordante silenzio, eppure mi domando: chi deve lavorare perché siano numerosi ad avere un’opportunità di successo nello sport, nello studio, nell’artigianato, nell’impresa, nel commercio, nelle nuove professioni?
Sono principalmente le istituzioni che devono elaborare le migliori condizioni oggettive attraverso le quali i giovani capaci e volenterosi possano un giorno, indipendentemente da qualunque situazione familiare e personale, finalmente alzare le braccia al cielo e gridare: Goal!
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22 Settembre 2024, 09:14