04 Luglio 2022, 06:02
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PALERMO – È il 6 ottobre scorso. Sul telefonino di Agostino Sansone giunge una chiamata. Dall’altra parte della cornetta c’è sua nipote. Dice al boss di aprirle il portone dell’abitazione. “Quello pedonale vicino ai carabinieri”. Bisogna organizzare un incontro.
Sansone abita in via Bernini. In una delle ville confiscate alla sua famiglia è sorta una caserma dei carabinieri. Si tratta dello stesso residence dove Totò Riina trascorse l’ultima parte della latitanza.
Poche ore dopo, nel pomeriggio, la ragazza contatta nuovamente Sansone. Gli dice che “Giancarlo si è liberato”. L’incontro può essere anticipato alle 18:30. Ci vuole poco a identificare che “Giancarlo” altri non è che “Giancarlo Carmelo Seidita”, boss della Noce arrestato poche settimane fa.
Seidita ha bisogno di parlare con Sansone. Di cosa? È interessato a un capannone. Vuole imporgli il pizzo oppure ha in programma una speculazione edilizia?
Si incontrano in un bar. Si scambiano parole affettuose: “Agostino… che grande piacere?”; “È sempre mio, come siamo?; “Combattiamo sempre”.
“L’ho mandato a chiamare, però volevo parlare pure con vossia per sapere se dice è una persona che mi interessa a me lo possiamo chiamare per dirgli se…”. Seidita si rivolge a Sansone dandogli del “vossia”. Un gesto di riverenza da parte del boss della Noce. Un boss potente, stretto alleato dei Lo Piccolo, tornato a comandare dopo avere finito di scontare una condanna.
Seidita prosegue: “… siccome mi arrivano voci che una persona vicina a lei, per essere una persona vicino a lei sarà una persona sistemata e mi viene ancora più dura da affrontarlo perché dice ma che fai ‘non lo sapevi perché non parlavi’ giusto eh… uno deve essere una persona trasparente e pulita.
Di cosa avessero parlato durante l’incontro emerge dalla conversazione di Agostino Sansone con i nipoti Pietro e Domenico. Al centro della vicenda c’è la vendita di un lotto di terreno edificabile nella zona di viale Michelangelo, acquistato da soggetti provenienti dalla zona di Bagheria.
Sono preoccupati. Seidita “non è una persona affidabile… c’è da starci a duemila chilometri di distanza”. Il motivo è chiaro: “… questo ha gli sbirri di sopra dalla mattina alla sera…”.
Non si sbagliavano. Seidita aveva davvero gli investigatori alle calcagna. Un errore, però, lo hanno commesso. Anche Sansone era monitorato dai poliziotti della squadra mobile. Ed è venuto fuori il presunto patto sporco per raccogliere i voti in favore del candidato al Consiglio comunale di Forza Italia, Piero Polizzi.
E adesso agli atti dell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Giovanni Antoci e Dario Scaletta ci sono l’incontro e la conversazione in cui Sedita si rivolge a Sansone dandogli del “vossia”. Attività integrativa di indagine, si chiama. Elementi nuovi, e non sono gli unici.
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04 Luglio 2022, 06:02