Palermo: "cimici nel buco del c...", ma il "diavolo" Di Cosa Nostra...

“Microspie pure nel buco del c…”, ma il “diavolo” di Cosa Nostra resiste

I vecchi boss di Palermo, il matrimonio e i rapporti con Messina Denaro

PALERMO – Sapevano di avere “le microspie infilate pure nel buco del c…”, ma non si sono potuti tirare indietro. L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo sulla mafia di Uditore svela l’essenza di Cosa Nostra.

L’inevitabile destino

L’anziano boss Franco Bonura raccontava un vecchio episodio di vita per descrivere la situazione in cui si trovano gli uomini di mafia come lui. Un giorno mentre era al mare si accorse che qualcuno stava annegando: “Io so che andando là vado a morire, però io ci sono andato, non me la sono sentita di lasciare”.

Non è possibile passare la mano. All’età di 82 anni, dopo una lunga detenzione, Bonura avrebbe potuto “godersi” il patrimonio accumulato e mai sequestrato, ma non si è potuto tirare indietro. “L’errore è trasiri (entrare ndr)… l’errore è alla base”. Una volta entrati in Cosa Nostra si esce solo da morto o da pentiti. “Noi abbiamo certe idee e le nostre idee sono sempre quelle che devono andare avanti… i nostri principi”, spiegava.

La vecchia mentalità di Cosa Nostra

La vecchia mentalità mafiosa dei boss palermitani resiste. Contano i soldi e le relazioni. Niente a che vedere con quel sanguinario di Totò Riina. “Quanto danno ha fatto questo signore”, diceva Bonura al suo fidato autista Michele Spataro. Nessuno, però, poteva ribellarsi perché Riina “aveva un esercito che pendeva dalle sue labbra”. Anche Bonura dovette rispondere signorsì: “Se mi diceva una cosa la dovevo fare”. O si stava dalla parte dei corleonesi o si moriva.

Bonura ha saputo resistere a tutto, all’ondata corleonese e a vent’anni di carcere vissuti in silenzio. Tutti gli riconoscevano la caratura criminale. Anche coloro che in passato erano stati fedeli alleati di Riina. Su tutti i fratelli Sansone che al padrino corleonese hanno offerto protezione e ospitalità fino al giorno dell’arresto del 1993.

Nello stesso blitz di Bonura i poliziotti della squadra mobile hanno arrestato anche Agostino Sansone, fratello degli storici boss detenuti Pino e Gaetano. Sarebbe diventato lui il nuovo capomafia di Uditore. Agostino Sansone e Franco Bonura si sono messi l’uno a disposizione dell’altro, accollandosi il rischio di attirare l’attenzione degli investigatori.

Un rischio messo nel conto anche dai familiari di Sansone. La figlia Silvia, di professione avvocato, ad esempio, era consapevole che il padre valeva, per caratura mafiosa, quanto Totò Riina. “Il diavolo”, lo definiva. Se il padre fosse stato scoperto a discutere con Bonura sarebbe finito in carcere e ci sarebbe rimasto fino alla morte: “… se ti capita qualcosa, tu uscirai solo dentro una cassa, questo non te lo scordare… scordati di essere assolto… stai attento a quello che combini”.

I matrimoni di Cosa Nostra

Neppure Sansone, al pari di Bonura, però, aveva possibilità di scelta. Un cognome che fa parte della storia di Cosa Nostra. I fratelli Gaetano e Pino Sansone sono detenuti e hanno nella loro fedina penale sentenze passate in giudicato. E poi c’è il recente legame sancito da un matrimonio. Un nipote di Agostino Sansone ha sposato una delle figlie di Filippo Guttadauro e Rosalia Messina Denaro, la sorella del capomafia Matteo.

I Guttadauro sono “una “potenza”, diceva la figlia di Sansone. Aveva una predilezione per un’altra figlia di Rosalia, Lorenza Guttadauro, che è stata l’avvocato del latitante (ora ha lasciato la professione) e la persona che gli è rimasta vicino fino alla morte.

La figlia avvocato e il terreno

Guttadauro e Sansone due cognomi pesanti che garantivano quelle “forza intimidatoria positiva” da spendere per ottenere un terreno a Triscina, spiaggia di Campobello di Mazara, a prezzo favorevole. Chi avrebbe osato ribellarsi agli amici di “frastocchia”. Così sarebbe stato soprannominato l’allora latitante di Castelvetrano per via dello strabismo di cui soffriva.

Agostino Sansone telefonò a Vincenzo Peruzza, definito “pluripregiudicato, già in stretti rapporti con il vertice della famiglia di Campobello di Mazara”, che lo rassicurò: “Glielo dici tu a tua figlia che sta tranquilla, che faremo in modo di raggiungere l’obiettivo”.

“Silvia Sansone chiedeva esplicitamente al padre Agostino di ricorrere al proprio prestigio criminale al fine di piegare i proprietari di un terreno a cedere in suo favore l’immobile ad un prezzo vantaggioso”, ha scritto il Gip nell’ordinanza di custodia cautelare che ha raggiunto il padre del legale. La storia del terreno sarebbe stata una tentata estorsione.

“Io ho chiesto a te del terreno per due motivi — diceva al padre — innanzitutto per il tuo cognome… visto che ho saputo che questi sono cornuti… per la tua forza intimidatoria… dopodiché perché ritengo che tu ne possa capire più di me e che quindi mi puoi consigliare”.

L’ala corleonese non è sopravvissuta alla reazione dello Stato. Sul campo sono tornati i vecchi boss di Palermo, anche quelli costretti a scappare in America per evitare la mattanza. Sono via via rientrati e molti di loro sono finiti di nuovo in carcere.

Alla fine perdono tutti. Si sforzano di resistere, arroccandosi nei valori della tradizione di Cosa Nostra (“il tuo vicino ‘bassino’ se qualcosa ci ha insegnato è che ogni pentola ha il suo coperchio”, diceva la figlia di Sansone riferendosi a Totò Riina ospite in una villa dei Sansone in via Bernini durante la latitanza), conservano i patrimoni sfuggiti alle misure di prevenzione, mentre le nuove leve hanno trovato nei traffici di droga la strada per provare a uscire dalla miseria. E vivono nel mito del passato.


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