Palermo vive l’ora della speranza | Ma questa è la città dell’amarezza

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14 Settembre 2018, 06:04

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Sembrerebbe la vittoria del bene e di Palermo. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il Papa venuto dalla fine del mondo, tra oggi e domani, saranno qui a portare un messaggio di vicinanza, una testimonianza apprezzabile e sincera.

Sembrerebbe la consacrazione definitiva di quell’apostolato della speranza messo in circolo da Padre Pino Puglisi. Il premier sarà a Brancaccio a inaugurare l’anno scolastico, proprio in quei luoghi diroccati che videro la missione di un parroco che non voleva essere martire, eppure ebbe il coraggio di diventarlo. Papa Francesco renderà omaggio a una figura di prete che, per troppo tempo, la Chiesa non ha saputo maneggiare: il pastore che, pur non considerando secondari gli aspetti strettamente liturgici – poiché non lo sono – sceglie di edificare la sua canonica in strada, di far coincidere il regno dei cieli con la fatica della terra.

Di ‘3 P’ – così lo chiamavano – tutti giustamente ricordano il sorriso, perché quell’impronta luminosa era la didascalia di un’esistenza intera. Ma bisognerebbe pure abbassare lo sguardo alle scarpe impolverate sulla via impervia, alle suole generose, alla falcata incessante. Don Pino, uomo di scarpe, terra e sorrisi, con il cielo sopra di sé. Sembrerebbe che le diverse celebrazioni appongano una targa perenne, qualcosa che rimarrà e che cambierà in meglio il corso delle cose, essendo la memoria un esercizio che dovrebbe aiutare a costruire un futuro migliore.

Quale occasione più propizia, del resto. Giuseppe Conte è il rappresentante di un governo che si definisce del ‘cambiamento’. A prescindere dalle valutazioni politiche che poco c’entrano con un alto momento istituzionale, è un presidente che viene con un impegno ardimentoso e preciso, con un mandato ineluttabile: cambiare è necessario.

Papa Francesco è l’emblema stesso della speranza, per intimità e pubblicità di vocazione. Lo sforzo di Bergoglio – amato dal popolo, avversato dalle sovrastrutture del potere – è apparso chiaro fin dall’inizio: recuperare lo spazio di un ospedale da campo, che non giudica e non rinnega, capace di abbracciare tutti, senza abdicare ai suoi valori. Cosa c’è di più utile di un sollievo accanto a corpi e anime che soffrono?

Ecco perché il doppio avvento del capo del governo e del capo dei cattolici rappresenta un segno di attenzione importante, un incoraggiamento, un sussulto benefico nel nome di don Puglisi. Qualcosa che non verrà dimenticato.

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Ma entrambi i visitatori illustri si confronteranno con la città dell’amarezza, con una dimensione dura, con una rassegnazione che, ogni giorno, trova sempre più pietre per aumentare il peso del suo dolore. Palermo, in questo tempo di santi, sogni, fantaccini e cadute, vive un passato immemore, un presente tragico, un futuro cupo. Appare ripiegata su se stessa, Palermo, come il cavallo in agonia, protagonista di una recente cronaca, morto del suo stesso struggimento, nonostante le carezze di chi si era prodigato per soccorrerlo.

Palermo è la città dei bambini in pigiama, per strada, nelle sue periferie, dei cinquantenni che sopravvivono con la pensione di mamma e papà, dei poveri che pasteggiano a stenti e magrezza tra i rifiuti, degli anziani abbandonati, in case residenziali, nascosti dietro tende che non prevedono spiragli. E se il disastro fosse ‘soltanto’ il diagramma di uno sfascio materiale, sarebbe tuttora possibile tentare di capovolgerne l’esito. Invece, l’elemento impenetrabile è appunto quel sentimento di acerrima disperazione che prosciuga lo spirito.

Ma è proprio nel frangente più aspro che ha un senso – tragico e ineluttabile, forse – sperare. La luce più amorevole è sempre quella desiderata nel buio. E noi dobbiamo sperare, sia pure come riflesso condizionato della buona volontà.

In che cosa? Che le scarpe della politica portino in giro personalità in grado di annotare lo sfacelo e di porvi rimedio. Che i sorrisi della fede consegnino alla comunità, a chi resta sul campo, una maggiore consapevolezza della responsabilità di chi accudisce la sofferenza. Che un po’ di bene, per una chimica gentile del contagio, si diffonda nel cuore appesantito dalla rassegnazione e lo sollevi. Speriamo, dunque, ma con gli occhi aperti, come quelli che Don Pino usava per osservare la sua Brancaccio, senza indulgere in compromessi o in favolette della buona notte. Palermo è davvero la città di tutte le amarezze in cerca di guarigione. Una fugace carezza non basta più.

 

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14 Settembre 2018, 06:04

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