Pentito di essersi pentito: | “Torno alla mafia, lo Stato è peggio”

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17 Aprile 2012, 16:07

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“Adesso basta, per lo Stato ho perso due famiglie e la mia dignità di uomo, scaricato a 50 anni dopo una vita da ‘precario’ della giustizia. Torno a Palermo, dalla mafia: meglio un colpo in testa che subire questa lenta e interminabile agonia alla quale lo Stato mi ha condannato”. Carmelo Mutoli, 50 anni, palermitano, ex genero del boss della Noce, Francesco Scaglione e collaboratore di giustizia dal febbraio del 1994, è stato escluso dal programma di protezione per i pentiti proprio alla vigilia del suo passaggio dalla protezione provvisoria a quella definitiva.

Mutoli ha ora abbandonato l’ultima sua località protetta, nel nord Italia, determinato a ripresentarsi alla ‘corte’ del genero: “che mi ammazzino o mi riprendano – dice all’Ansa – sarà sempre una sorte migliore di quella che mi aspetta ora, abbandonato a me stesso, senza soldi e senza un lavoro”. Pentitosi il giorno del brindisi dei boss palermitani per ‘festeggiare’ la strage di Capaci, Carmelo Mutoli ha cambiato da allora numerose località, collaborando con diverse Procure “e consentendo – sottolinea lui – decine e decine di operazioni e di arresti, molti dei quali vanificati se io, il giorno dei processi, non sarò in aula a confermare le dichiarazioni rese in precedenza ai pm”.

Proprio nei giorni in cui la Commissione Centrale del Ministero dell’Interno decideva di escluderlo dal programma di protezione, Mutoli veniva sentito a Roma dal sostituto procuratore Rodolfo Sabelli su presunti coinvolgimenti della mafia catanese nella recente escalation di violenza nella capitale. Mutoli sostiene infatti di aver avuto informazioni e confidenze in merito durante un suo breve periodo di detenzione nel carcere romano di Rebibbia. “Una collaborazione, anche quest’ultima – dice Mutoli – che è chiaro si interrompe qui”. Nell’escluderlo dal piano di protezione – che era stato adottato il 3 marzo dello scorso anno ed è stato dichiarato concluso il primo febbraio scorso – la Commissione Centrale del Viminale ha contestato a Mutoli ripetuti “comportamenti non consoni al suo stato”, come la passione per il gioco d’azzardo e la frequentazione di persone con precedenti, tra cui anche l’associazione mafiosa.

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Ma è pazzesco – ribatte Mutoli -. E’ come se a un medico si impedisse di frequentare i congressi e i corsi di aggiornamento professionale. Mi chiedo come possa fare un collaboratore di giustizia ad essere utile allo Stato se non carpisce informazioni da chi lotta contro lo Stato”. Ma ora Mutoli si dice stufo: “Il mio avvocato continua ad insistere per fare ricorso ma io vado per la mia strada. Ho visto i miei primi due figli crescere fu Facebook, dopo essere stato rinnegato dalla famiglia della mia ex moglie. Durante un mio lungo soggiorno in Abruzzo mi ero fatto una nuova compagna dalla quale ho avuto un figlio. Poi, stufa della mia condizione precaria, anche lei mi ha abbandonato e ora mi impedisce persino di vedere mio figlio. E, quando l’ho preteso, mi ha fatto arrestare per minacce”.

Lo Stato – conclude Mutoli – mi ha tolto tutto. Non è vero che la mafia è spietata. Lo Stato, con la sua burocrazia, lo è molto di più, soprattutto con i soggetti più deboli. Io non ho mai ucciso nessuno, e mi hanno buttato per strada. Ma in questi anni ho visto boss con programma di protezione definitivo che dal carcere continuavano ad ordinare omicidi…. Ma questa – chiude Mutoli – è un’altra storia che molto presto racconterò”.

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17 Aprile 2012, 16:07

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