Perché la scuola |ha motivo di protestare

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18 Novembre 2012, 09:41

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Settembre 2012, inizio di un nuovo anno scolastico. Siamo in collegio docenti, ci guardiamo in faccia e cominciamo a interrogarci sui problemi che dovremo affrontare sia sul piano pedagogico/didattico sia sul piano organizzativo. Novembre 2012: sono trascorsi appena due mesi e ci si rende conto che i problemi cui bisogna far fronte sono molti di più di quelli “ipotizzati”.
Siamo a Palermo in una scuola collocata in area a rischio. Buona struttura anni ’70, ma che cade a pezzi a causa dell’abbandono dell’ente locale che deve provvedere alla sua manutenzione e messa in sicurezza. Siamo nel Sud, dove il tempo scuola deve fare i conti con i “senza”… mensa, servizi, laboratori, fondi. Siamo in territori dove la scuola non può non assumere il ruolo dell’istituzione efficiente in grado di dare risposte a situazioni sociali sempre più complesse.
Sicuramente non manca l’impegno e la volontà di poter cambiare qualcosa. Sicuramente nessuno pensa di farsi travolgere dalla routine, ma è anche vero che, dopo aver portato decenni avanti battaglie per l’affermazione del diritto allo studio, non si può non fare i conti con domande sempre più impegnative che rendono incerte le prospettive:
Che legalità c’è in un sistema scuola che non pone attenzione al successo formativo di tutte le alunne e di tutti gli alunni tenendo conto delle differenze individuali? Una scuola giusta ed efficace valorizza e sostiene i talenti, ma, al contempo, incoraggia e fa crescere tutti, ciascuno al massimo delle proprie possibilità.
Che legalità c’è in una scuola che ripropone per i ragazzi una valutazione selettiva e sanzionatoria (che tiene conto anche del comportamento) con un sistema di blocchi che in determinati contesti riporterà i livelli della dispersione scolastica a percentuali a due cifre?
Che educazione alla legalità e alla cittadinanza può essere progettata e sviluppata in un sistema scuola che nega gli spazi degli interventi trasversali, che pone in secondo piano discipline ritenute dalla pedagogia e dalla psicologia fondamentali per la crescita dei ragazzi, per la comunicazione, per la sperimentazione, per l’acquisizione delle abilità sociali?
Che educazione alla partecipazione e all’esercizio della democrazia potrà essere elaborata in un contesto istituzionale dove gli spazi della condivisione, del confronto, della costruzione della comunità vengono quasi azzerati?
La scuola italiana sta pagando un prezzo altissimo alla crisi economica (ma anche di valori etici). La protesta civile di insegnanti e studenti vorrebbe riportare l’attenzione su un sistema che rischia di implodere. Ma sembra che nessuno voglia raccogliere questo urlo/lamento.

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18 Novembre 2012, 09:41

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